Elenco
Leggi principali
L' elenco non pretende di
essere esaustivo.
Il
commento legale sul fumo nei luoghi di lavoro privati
a
cura dell' Avvocato Marco Ramadori
"Purtroppo il
divieto di fumo, previsto dalla legge
584/75 e dalla
successiva direttiva
DPCM del 14 dicembre 1995,
non si applica direttamente nei luoghi di lavoro
privati. Non vi e' dunque una legge da invocare
direttamente per far rispettare, in quei casi, il
divieto di fumo.
Per
i luoghi di lavoro privati vi e' pero' tutta una
costruzione giurisprudenziale (che si basa sugli art.
32 e 41
della Costituzione e su varie leggi speciali, tra cui in
particolare il DL
626/94) per cui
sussiste comunque l'obbligo del datore di lavoro di
tutelare la salute dei propri dipendenti. In questi
casi, non sussistendo pero' un divieto esplicito, e'
purtroppo necessario rivolgersi all'autorita'
giudiziaria, con la nomina di un avvocato di fiducia,
sia per l'eventuale risarcimento dei danni ma anche, in
via preventiva, per un'azione cautelare. In ogni caso,
il dipendente privato puo' comunque mettere in mora
l'azienda presso cui lavora (con raccomandata a.r.),
pretendendo il rispetto del suo diritto a lavorare in un
ambiente salubre.
La
soluzione al problema pertanto esiste ma, e' evidente,
che puo' portare naturalmente a un elevato grado di
conflittualita' nei rapporti con il datore di lavoro
privato. Dal punto di vista giuridico, non vi e'
purtroppo altra soluzione."
|
AriaPulita sottolinea che non
è da escludere, come in qualche felice caso è avvenuto, che il
datore di lavoro sollecitato dalla richiesta scritta di un suo
dipendente adotti spontaneamente i provvedimenti necessari alla
tutela dal fumo passivo, divieti inclusi, senza la necessità di
un procedimento giudiziario.
Una relazione dettagliata "Fumo
nei luoghi di lavoro. Come difendersi"
a
cura dell'avv. Vincenzo Masullo, già direttore dell'ufficio
legale del CODACONS e coordinatore del gruppo di studio
legislativo di SITAB
Società Italiana di TAbaccologia
è scaricabile dalla sezione Documenti
di GEA
Progetto Salute.
Il
commento sociale
a
cura di AriaPulita
L' esperienza di ogni
giorno insegna che ancora troppe persone non sanno come
la legislazione italiana regola e risolve il conflitto
di "interessi" fra fumatori e non fumatori,
insomma, non conoscono i loro diritti...
La divulgazione delle
informazioni sopra citate può portare nei casi
migliori, all' affermazione di comune accordo fra
cittadini responsabili, del diritto di respirare aria
pulita, e comunque contribuisce alla promozione della
cultura del rispetto reciproco anche in matera di fumo.
|
Links
GEA
Progetto Salute ,
sezione Documenti
SITAB
Società Italiana di TAbaccologia
lrtkkwedònqrhrihgkjgnkghjteiywtoitihjtjkjtrhgnjgòhwt,b,b,b,kykyktkfkjfjrjkeiosuoi
diritti o chgkyihjtughrhfgegdgeà ***********xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx |
"Libertà"
da: Nuovissima
Enciclopedia Illustrata- Istituto Editoriale Italiano
"Libertà"
: "Capacità dell'
uomo di autodeterminarsi".
"Libertà
politica" :
"votata dall'assemblea costituente francese 1789. <La
libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli
altri; Quindi l'esercizio dei diritti naturali di ognuno non ha
altri limiti che quelli che garantiscono agli altri membri della
società il godimento dei medesimi diritti. La legge ha il
diritto di proibire soltanto le azioni nocive alla società.
Tutto ciò che non è proibito dalla legge non può essere
impedito e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa
non ordina>".
Articolo
32 della Costituzione Italiana
"La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana."
Articolo
41 della Costituzione Italiana
"L'iniziativa economica
privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana. La legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali."
Articolo
2043 del Codice Civile
Art.2043
Risarcimento per fatto illecito
"Qualunque
fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno"
Circolare
del Ministero della Sanità
(28
marzo 2001, n.4)
pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 85, del 11 aprile 2001.
nota:
AriaPulia è fiera di osservare che la circolare viene
emanata dal Ministero subito dopo la denuncia di due
suoi membri fondatori (vedi HomePage). |
riassunto:
emanata nel 2001 dal ministro della sanità Veronesi, la
circolare inizia con una considerazione sui danni del
fumo attivo e passivo e sottolineatura dell'
inosservanza delle leggi vigenti. Invita
le ististituzioni
a considerare il problema.
Prosegue con l'elenco e il commento delle suddette
leggi e riporta l' elenco
esemplificativo e dettagliato dei luoghi dove è
espressamente vietato fumare
che ne consegue. Precisa quali sono le sanzioni
amministrative per l'inosservanza dei divieti, le
modalità e le autorità competenti per la loro
rilevazione. |
MINISTERO DELLA
SANITA'
CIRCOLARE 28 marzo 2001,
n.4
INTERPRETAZIONE
ED APPLICAZIONE DELLE LEGGI VIGENTI IN MATERIA DI DIVIETO DI
FUMO.
Alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri
Al Ministero degli affari esteri
Al Ministero delle politiche agricole e forestali
Al Ministero dell'ambiente
Al Ministero per i beni e le attivita' culturali
Al Ministero del commercio con l'estero
Al Ministero della difesa
Al Ministero delle finanze
Al Ministero della giustizia
Al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato
Al Ministero dell'interno
Al Ministero dei lavori pubblici
Al Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Al Ministero dei trasporti e della navigazione
Al Ministero delle comunicazioni
Al Ministero della pubblica istruzione
Al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica
Al Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e
tecnologica
Ai sig. ri presidenti delle giunte regionali
Ai sig. ri presidenti delle province di Trento e Bolzano
Ai sig. ri assessori regionali alla sanita'
Il fumo di sigaretta, com'e' noto dai dati riportati dalla
letteratura scientifica mondiale, e' causa di una molteplicita'
di patologie. Il tumore polmonare, ad esempio, in circa il 90%
dei casi, e' causato dal umo di sigaretta. L'Organizzazione
mondiale di sanita' ha piu' volte richiamato l'attenzione dei
governi su quella che e' stata definita "nuova
epidemia" (90 mila morti in Italia ogni anno, 3 milioni nel
mondo).
Occorre da
parte di tutti uno sforzo per porre rimedio ad una abitudine o,
meglio, dipendenza che danneggia chi la pone in essere e chi,
soprattutto, passivamente la subisce.
L'ordinamento giuridico
italiano contiene varie norme dirette a tutelare la salute, come
sancito all'art. 32 della Costituzione, dai rischi connessi
all'esposizione anche passiva al fumo, alcune delle quali,
vigenti gia' da un ventennio, non sono adeguatamente applicate,
sia per una sottovalutazione dei rischi del fumo, sia a causa di
dubbi interpretativi ed applicativi.
In relazione ai quesiti posti
da vari soggetti interessati sull'applicazione della legge 11
novembre 1975, n. 584, e della direttiva del Presidente del
Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995, questo Ministero
ritiene opportuno precisare quanto segue.
NORMATIVA VIGENTE IN
TEMA DI LIMITAZIONE DI FUMO NEI LOCALI APERTI AL PUBBLICO
Regio decreto 24 dicembre 1934, n.
2316, art. 25.
"Testo unico delle leggi sulla protezione e
l'assistenza della maternita' e dell'infanzia".
".... chi vende o somministra tabacco a
persona minore degli anni 16 e' punito con la sanzione
amministrativa fino a L. 40.000. E' vietato ai minori degli anni
16 di fumare in luogo pubblico sotto pena della sanzione
amministrativa di L. 4.000."
Legge 11 novembre 1975, n. 584.
"Divieto di fumare in determinati locali e su
mezzi di trasporto pubblico".
La legge persegue
scopi di tutela della salute pubblica.
Consapevole dei danni che alla salute puo' arrecare il fumo c.d.
passivo, il legislatore ha posto un generico ed assoluto divieto
di fumo nei seguenti locali:
-corsie d'ospedale;
-aule delle scuole di ogni ordine e grado;
-autoveicoli di proprieta' dello Stato, di enti pubblici e di
privati concessionari di pubblici servizi per trasporto
collettivo di persone;
-metropolitane;
-sale d'attesa di stazioni ferroviarie, autofilotranviarie,
portuali-marittime, aeroportuali;
-compartimenti ferroviari per non fumatori delle Ferrovie dello
Stato e delle ferrovie date in concessione ai privati;
-compartimenti a cuccette e carrozze letto, durante il servizio
di notte, se occupati da piu' di una persona;
-locali chiusi adibiti a pubblica riunione (ogni ambiente aperto
al pubblico ove si eroga un servizio dell'amministrazione o per
suo conto (vedi ultra, T.A.R. Lazio, sentenza n. 462/1995;
direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14
dicembre 1995);
-sale chiuse di cinema e teatro;
-sale chiuse da ballo;
-sale-corse;
-sale riunioni di accademie;
-musei;
-biblioteche;
-sale di lettura aperte al pubblico;
-pinacoteche e gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico.
Direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 14 dicembre 1995.
"Divieto di fumo in determinati locali della
pubblica amministrazione o dei gestori di servizi
pubblici".
La direttiva e' stata emanata in seguito a due
pronunce dei giudici amministrativi che hanno interpretato
estensivamente le norme della legge n. 584/1975.
Essa ha quali suoi destinatari tutte le amministrazioni
pubbliche.
Per amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 1, comma 2,
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono:
-tutte le amministrazioni dello
Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e
grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, leregioni, le province, i
comuni, le comunita' montane e loro consorzi ed associazioni, le
istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari,
le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e
loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici
nazionali regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e
gli enti del Servizio sanitario nazionale.
La direttiva prevede che le
amministrazioni pubbliche attuino il divieto di fumo comminato
dalla legge n. 584 del 1975, esercitando poteri amministrativi
regolamentari e disciplinari nonche' poteri di indirizzo,
vigilanza e controllo sulle aziende ed istituzioni da esse
dipendenti e sulle aziende private in concessione o in appalto.
La direttiva fornisce, inoltre,
i seguenti criteri interpretativi per l'individuazione dei
locali in cui si applica il divieto:
1. per locale
aperto al pubblico si deve intendere quello in cui la
generalita' degli amministrati e degli utenti accede, senza
formalita' e senza bisogno di particolari permessi negli orari
stabiliti;
2. tutti i
locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla p.a. e dalle
aziende pubbliche per esercizio delle proprie funzioni
istituzionali, sempre che i locali siano aperti al pubblico;
3. tutti i
locali utilizzati, a qualunque titolo, da privati esercenti
servizi pubblici, sempre che i locali siano aperti al pubblico;
4. i luoghi
indicati dall'art. 1 della legge 11 novembre 1975, n.584, anche
se non si tratta di "locali aperti al pubblico" nel
senso precisato dalla direttiva (es. aule scolastiche: fra le
aule delle scuole di ogni ordine e grado si intendono ricomprese
anche le aule universitarie).
La direttiva precisa, inoltre,
che le amministrazioni e gli enti possono comunque, in virtu'
della propria autonomia regolamentare e disciplinare, estendere
il divieto a luoghi diversi da quelli previsti dalla legge n.
584 del 1975. Nei locali in cui si applica il divieto vige
l'obbligo di apporre cartelli con indicazione del divieto di
fumo.
Elenco
esemplificativo dei locali in cui si applica il divieto di fumo.
Premesso che il divieto di fumo si applica nei luoghi
nominativamente indicati nell'art. 1 della legge n. 584 del
1975, ancorche' non si tratti di locali "aperti al
pubblico" nel senso di locali in cui una generalita' di
amministrati e di utenti accede senza formalita' e senza bisogno
di particolari permessi negli orari stabiliti, si fornisce un
elenco esemplificativo dei locali che rientrano nella generica
espressione usata dalla legge n. 584/1975, cosi' come
interpretata dalla sentenza n. 462/1995 del T.A.R. del Lazio,
"locali chiusi adibiti a pubblica riunione" in cui
vige il divieto di fumo, allo scopo di agevolare la corretta
applicazione della normativa:
-ospedali ed altre strutture
sanitarie (corsie, corridoi, stanze per l'accettazione, sale
d'aspetto e piu' in generale locali in cui gli utenti richiedono
un servizio - pagamento ticket, richieste di analisi, ecc...);
-scuole di ogni ordine e grado,
comprese le universita' (aule, corridoi, segreterie studenti,
biblioteche, sale di lettura, bagni, ecc...);
-uffici degli enti territoriali
quali regioni, province e comuni; uffici di altre
amministrazioni a livello territoriale: uffici del catasto,
uffici collocamento ecc..;
-uffici postali (locali di
accesso agli sportelli, corridoi, ecc.);
-distretti militari ed altri
uffici dell'amministrazione della difesa aperti al pubblico
(uffici di certificazione, uffici informazioni e relazioni con
il pubblico);
-uffici I.V.A., uffici del
registro;
-uffici di prefetture, questure
e commissariati, uffici giudiziari;
-uffici delle societa'
erogatrici di servizi pubblici (compagnie telefoniche, societa'
erogatrici di gas, corrente elettrica, ecc.);
-banche, relativamente ai
locali in cui si svolgono servizi per conto della pubblica
amministrazione (riscossione imposte e sanzioni pecuniarie,
tesoreria per enti pubblici).
Competenze dei dirigenti in ordine all'applicazione
del divieto di fumo.
I dirigenti preposti alle strutture amministrative e di
servizio ovvero il responsabile della struttura privata,
sono tenuti ad individuare, con atto formale, i locali della
struttura cui
sovrintendono, dove, ai sensi dei criteri prima citati, devono
essere apposti i cartelli di divieto.
Spetta ad essi, quindi,
predisporre o far predisporre i cartelli di divieto completi
delle indicazioni fissate dalla direttiva:
-divieto di fumo;
-indicazione della norma che impone il divieto (legge
n.584/1975);
-sanzioni applicabili;
-soggetto cui spetta vigilare sull'osservanza del divieto e ad
accertare le infrazioni (nominativo del funzionario/i preposto/i
dal dirigente, con atto formale, alla vigilanza sul divieto di
fumo nonche' all'accertamento dell'infrazione nei locali ove e'
posto il cartello di divieto, o, ove non si sia proceduto a
nomina specifica, il nome del dirigente responsabile della
struttura pubblica ai sensi di legge e dei regolamenti).
Spetta ai dirigenti preposti
alle strutture amministrative e di servizio, come anticipato,
individuare in ciascuna di esse, con atto formale, i funzionari
incaricati di vigilare sull'osservanza del divieto, di procedere
alla contestazione delle infrazioni e di verbalizzarle.
Detti funzionari, ove non
ricevano riscontro dell'avvenuto pagamento da parte del
trasgressore, hanno l'obbligo di fare rapporto all'autorita'
competente, che, come si e' detto, e', nella maggior parte dei
casi, il prefetto, affinche' irroghi la sanzione. Nei locali
privati, ove si svolge comunque un servizio per conto
dell'amministrazione pubblica (concessionari di pubblici
servizi) i soggetti obbligati a vigilare sul rispetto del
divieto e ad accertarne la violazione sono coloro cui spetta per
legge,regolamento o disposizioni d'autorita' assicurare l'ordine
all'interno dei locali.
Nei locali privati
nominativamente citati dall'art. 1 della legge n. 584 del 1975
(es. nei teatri, nei cinema, nelle sale da ballo, ecc.) tali
figure si identificano nei conduttori dei locali individuati
nella lettera b) dell'art. 1 della legge citata.
Sanzioni.
La sanzione amministrativa prevista dall'art. 7 della legge n.
584/1975 per il trasgressore e' quella del pagamento di una
somma di danaro da L. 1.000 a L. 10.000.
Per effetto degli articoli 10 e
114 della legge n. 689/1981 le sanzioni amministrative non
possono essere inferiori quanto al minimo a L. 4.000, e quanto
al massimo a L. 10.000.
Per effetto dell'art. 96 del
decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507
"Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999,
n.205", l'art. 10 della legge n. 689/1981 e' cosi'
modificato: "La sanzione amministrativa pecuniaria consiste
nel pagamento di una somma non inferiore a lire dodicimila e non
superiore a lire ventimilioni. ... Fuori dei casi espressamente
stabiliti dalla legge,il limite massimo della sanzione
amministrativa pecuniaria non puo'per ciascuna violazione
superare il decuplo del minimo.".
L'art. 16 della legge n.
689/1981 ammette il pagamento in misura ridotta della sanzione
se il versamento viene effettuato entro sessanta giorni dalla
contestazione immediata o, se questa non vi e' stata dalla
notificazione degli estremi della violazione.
In forza di tale norma il
trasgressore puo' pagare 1/3 del massimo o il doppio del minimo
se piu' favorevole. Nel caso della sanzione relativa al divieto
di fumo, per quanto detto sopra, e' piu' favorevole il pagamento
del doppio del minimo, pari a L. 24.000.
Va precisato in proposito che
ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice
civile, per incompatibilita', resta abrogato l'art. 8 della
legge n. 584/1975 in quanto disciplina una materia
successivamente modificata da apposita legge, appunto la legge
n. 689/1981 e che altre norme dispongono il divieto di
maneggiare danaro da parte dei pubblici funzionari (e quindi di
riscuotere direttamente la sanzione dal trasgressore).
Per completare il quadro
sanzionatorio occorre ricordare che l'art. 7 della legge n.
584/1975 prevede una sanzione anche per coloro che sono tenuti a
far osservare il divieto e vengono meno a questo loro dovere; la
sanzione per questi va da L. 20.000 a L. 100.000.
Applicazione della sanzione.
1) Come si accerta
l'infrazione:
a) negli uffici
pubblici:
il funzionario preposto alla
vigilanza e all'accertamento dell'infrazione, deve essere dotato
degli appositi moduli di contestazione. In caso di
trasgressione, questi procedera' a compilare il modulo e a darne
copia al trasgressore.
Trascorso inutilmente il
termine per il pagamento in misura ridotta, sessanta giorni, il
funzionario che ha accertato la violazione presentera' rapporto,
con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni (ex
art. 17, legge n. 689/1981), al prefetto (competente ex art. 9,
legge n. 584/1975).
b) nei locali
condotti da privati:
il responsabile della
struttura, ovvero il dipendente o il collaboratore da lui
incaricato richiamera' i trasgressori all'osservanza del divieto
e curera' che le infrazioni siano segnalate ai pubblici
ufficiali ed agenti competenti a norma dell'art. 13 della legge
24 novembre 1981, n. 689 (art. 4, lettera c) della direttiva 14
dicembre 1995).
2) Come si paga la
contravvenzione:
il modulo di contestazione deve riportare le indicazioni sul
pagamento della contravvenzione, ove non sia diversamente
individuato da specifiche normative regionali si applica quanto
segue:
a) si puo' pagare
direttamente al concessionario del servizio di
riscossione dell'ente in cui e' stata accertata l'infrazione,
compilando apposito modulo.
Il codice tributo da indicare e' il 131 T, che corrisponde alla
voce "sanzioni amministrative diverse da I.V.A." (V.
decreto legislativo n. 237/1997 e relativo allegato).
Va pero' inserito anche il codice "ufficio". Si tratta
di un codice che ogni amministrazione pubblica deve avere e che
dovra' essere stampato sul verbale di contestazione.
b) si puo' delegare la
propria banca al pagamento sempre utilizzando lo stesso
modulo;
c) si puo' pagare presso gli uffici
postali con bollettino di conto corrente postale
intestato a servizio riscossione tributi -concessione di ....
Si rammenta che il funzionario
che ha accertato l'infrazione non puo' ricevere
direttamente il pagamento dal trasgressore ai sensi
delle vigenti leggi.
Ai sensi dell'art. 18 della
legge n. 689/1991, entro trenta giorni dalla data di
contestazione o notificazione della violazione, gli interessati
possono far pervenire all'autorita' competente a ricevereil
rapporto scritti difensivi e documenti e possono chiedere di
essere sentiti dalla medesima autorita'. L'autorita' competente,
sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta,
ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti, se
ritiene fondato l'accertamento, determina con sentenza motivata,
la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento; in
caso contrario emette ordinanza motivata di archiviazione degli
atti. In base alla normativa vigente, a chi e' stata contestata
la violazione e' data facolta' di ricorrere contro la stessa al
giudice ordinario territorialmente competente, sia nel caso in
cui non abbia fatto ricorso all'autorita' competente, sia
qualora quest'ultima abbia emanato l'ingiunzione di pagamento
della sanzione.
3) Autorita' competente
a ricevere il rapporto.
Un aspetto problematico e' correlato alla identificazione della
autorita' competente a ricevere il rapporto sulle violazioni
accertate. Ove non sia diversamente individuato da specifiche
normative regionali si applica quanto segue.
L'art. 9 della legge n. 584 del
1975, nella sua formulazione testuale, dispone che i soggetti
legittimati ad accertare le infrazioni presentino il rapporto al
prefetto.
Tale disposizione, tuttavia,
deve oggi essere applicata in maniera conforme ai sopravvenuti
indirizzi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
1034 del 27 ottobre 1988.
Il giudice delle leggi ha,
infatti, affermato che non spetta allo Stato indicare gli uffici
competenti a ricevere il rapporto ex lege n. 689/1981 quando le
violazioni siano attinenti a materie di competenza regionale.
In particolare, relativamente
al divieto di fumo sui mezzi di trasporto tranviario e delle
ferrovie in concessione, nonche' nei locali adibiti allo stesso
servizio di trasporto, la sentenza ha precisato che, quando l'infrazione
inerisce attivita' affidate, a titolo proprio o di delega alle
regioni, a norma dell'art. 9 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 616/1977, la competenza a ricevere il
rapporto deve essere imputata agli organi dalle stesse
individuati.
Lo stesso principio e' stato
affermato dalla Corte con riguardo al divieto di fumo nei locali
chiusi di cui all'art. 1 della legge n.584, "quando la
proibizione di fumare si riferisce a luoghi, locali o mezzi sui
quali si esercita la competenza regionale (come ad esempio, le
strutture del Servizio sanitario nazionale, i musei e le
biblioteche affidate alle regioni)...".
Ne consegue che il rapporto va
presentato alla regione quando la
violazione sia stata rilevata:
a) nell'ambito
dei servizi di trasporto pubblico rientranti nella competenza
regionale;
b) nell'ambito di luoghi, locali o mezzi sui
quali le regioni esercitano competenze proprie o delegate;
c) nell'ambito degli uffici o delle strutture
della regione o delle aziende o istituzioni da essa dipendenti.
Il rapporto va presentato
all'ufficio provinciale della M.C.T.C. competente per territorio
(art. 1, comma 1, voce Ministero dei trasporti, lettera a) del
decreto del Presidente della Repubblica n.571/1982), quando le
violazioni siano state rilevate nell'ambito dei servizi di
trasporto pubblico rientranti nella competenza statale, ad
esclusione delle violazioni accertate negli ambiti di competenza
delle Ferrovie dello Stato per le quali occorre aver riguardo a
quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 11
luglio 1980, n. 753.
Il rapporto va presentato
all'ufficio di sanita' marittima aerea e di frontiera e
all'ufficio veterinario di confine, di porto, aeroporto e di
dogana interna quando le violazioni siano state rilevate negli
ambiti di rispettiva competenza (art. 1, comma 1, voce Ministero
della sanita', del decreto del Presidente della Repubblica n.
571/1982).
Il rapporto, infine, va
presentato al prefetto in tutti i restanti casi.
Roma, 28 marzo 2001
Il Ministro della sanita': Veronesi
Regio
decreto del 24 Dicembre 1934,
n.2316
- art.25
nota:
testo parziale________________________________________________________ |
...
"Testo
unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della
maternita' e dell'infanzia".
".... chi
vende o somministra tabacco a persona minore degli anni 16 e'
punito con la sanzione amministrativa fino a L. 40.000. E'
vietato ai minori degli anni 16 di fumare in luogo pubblico
sotto pena della sanzione amministrativa di L. 4.000."
Legge
n. 584 dell' 11 Novembre 1975
pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 322, del 5 dicembre 1975.
riassunto:
la legge elenca uno per uno i luoghi dove è vietato
fumare (vedi
articolo1),
in quali casi e con che modalità possono sussistere
eccezioni a tali divieti, come sono sanzionate le
inosservanze delle disposizioni della medesima. |
nota:
vedi anche la Circolare
del ministro della sanità Veronesi del 2001,
che a partire da questa e altre leggi e decreti, fa
l'elenco esemplificativo e dettagliato dei luoghi dove
è espressamente vietato fumare. |
Divieto di
fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico
IL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art.
1
E' vietato fumare:
a) nelle corsie degli
ospedali; nelle aule delle scuole di ogni
ordine e grado; negli autoveicoli di proprietà
dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di
pubblici servizi per trasporto collettivo di persone;
nelle metropolitane; nelle sale di
attesa delle stazioni ferroviarie, autofilotranviarie,
portuali-marittime e aereoportuali;
nei compartimenti ferroviari riservati ai non fumatori
che devono essere posti in ogni convoglio viaggiatori delle
ferrovie dello Stato e nei convogli viaggiatori delle
ferrovie date in concessione ai privati; nei compartimenti
a cuccette e in quelli delle carrozze letto, occupati da più di
una persona, durante il servizio di notte;
b) nei locali chiusi
che siano adibiti a pubblica riunione, nelle
sale chiuse di spettacolo cinematografico o teatrale,
nelle sale chiuse da ballo, nelle sale
corse, nelle sale di riunione delle accademie,
nei musei, nelle biblioteche e
nelle sale di lettura aperte al pubblico, nelle
pinacoteche e nelle gallerie d'arte
pubbliche o aperte al pubblico.
Art. 2
Nelle carrozze non riservate ai
fumatori, le amministrazioni ferroviarie devono esporre, in
posizione visibile, avvisi riportanti il divieto di fumare; nei
quadri delle prescrizioni per il pubblico va riportata anche la
norma con l'indicazione della sanzione comminata ai
trasgressori. (--comma abrogato dall’art. 104, D.P.R.
11 luglio 1980, n. 753.--)
Per l'accertamento
dell'infrazione e per la contestazione della contravvenzione
restano ferme le norme vigenti in materia per le ferrovie dello
Stato, per le ferrovie concesse all'industria privata e per gli
altri mezzi di trasporto pubblico ai quali, in mancanza di
disciplina specifica, si applicano le norme vigenti per le
ferrovie dello Stato, in quanto compatibili. (--comma
abrogato dall’art. 104, D.P.R. 11 luglio 1980, n. 753.--)
Coloro cui spetta per legge,
regolamento o disposizioni di autorità assicurare l'ordine
all'interno dei locali indicati al precedente articolo 1,
lettere a) e b), nonchè i conduttori dei locali di cui alla
lettera b) di tale articolo, curano l'osservanza del divieto,
esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti la norma
con l'indicazione della sanzione comminata ai trasgressori.
Art. 3
Il conduttore di uno dei locali
indicati all'articolo 1, lettera b), può ottenere l'esenzione
dell'osservanza del disposto dell'art.1 della presente legge ove
installi un impianto di condizionamento dell'aria o un impianto
di ventilazione rispettivamente corrispondenti alle
caratteristiche di definizione e classificazione determinate
dall'Ente nazionale italiano di unificazione (UNI).
A tal fine deve essere
presentata al sindaco apposita domanda corredata del progetto
dell'impianto di condizionamento contenente le caratteristiche
tecniche di funzionamento e di installazione.
L'esenzione dall'osservanza del
divieto di fumare è autorizzata dal sindaco, sentito
l'ufficiale sanitario.
Il Ministro per la sanità dovrà
emanare, entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione
della presente legge, sentito il Consiglio superiore di sanità,
disposizioni in ordine ai limiti di temperatura, umidità
relativa, velocità e tempo di rinnovo dell'aria nei locali di
cui all'articolo 1, lettera b), in base ai quali dovranno
funzionare gli impianti di condizionamento o di ventilazione.
Art. 4
Le norme di cui all'articolo 2,
terzo comma, della legge 14 agosto 1971, n. 819, sono estese, ai
fini dell'acquisto e dell'installazione degli impianti di cui al
primo comma dell'articolo 3, agli esercenti o proprietari delle
sale cinematografiche appartenenti alle categorie del medio e
piccolo esercizio cinematografico, ovunque ubicate e già in
attività anteriormente alla data di entrata in vigore della
presente legge.
Art. 5
Ferme le sanzioni pecunarie
previste dalla presente legge, l'autorità di pubblica sicurezza
può adottare le misure di cui all'articolo 140 del regolamento
per la esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, approvato con regio decreto 6
maggio 1940, n. 635, nei casi:
a) che si contravvenga alle
norme di cui all'articolo 2, terzo comma;
b) che gli impianti di
condizionamento non siano funzionanti o non siano condotti in
maniera idonea o non siano perfettamente efficienti.
Indipendentemente dai
provvedimenti adottati dall'autorità di pubblica sicurezza,
l'autorizzazione alla esenzione dall'osservanza del divieto di
fumare prevista all'articolo 3, terzo comma, e sospesa
dall'autorità locale di pubblica sicurezza nei casi di cui alla
lettera b) del precedente comma. La sospensione può essere
revocata dal sindaco, sentito l'ufficiale sanitario, dopo la
constatazione della precisa efficienza dell'impianto in
esercizio, qualora domanda in tal senso venga presentata dal
conduttore del locale.
Nei casi di ripetute violazioni
delle disposizioni contenute nella lettera b) del primo comma
del presente articolo o di violazioni particolarmente gravi, il
sindaco può revocare, sentito l'ufficiale sanitario,
l'autorizzazione all'esenzione dall'osservanza del divieto di
fumare previsto dall'articolo 3, terzo comma.
Art. 6
Sono a carico del conduttore di
uno dei locali indicati all'articolo 1, lettera b), tutte le
spese necessarie per l'esecuzione dei controlli di cui al
precedente articolo.
Art. 7
I trasgressori alle
disposizioni dell'articolo 1 della presente legge sono soggetti
alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire
4.000 (--importo così modificato da successivi decreti--)
a lire 10.000.
Le persone indicate al terzo
comma dell'articolo 2, che non ottemperino alle disposizioni
contenute in tale articolo, sono soggette al pagamento di una
somma da lire ventimila a lire centomila; tale somma viene
aumentata della metà nelle ipotesi contemplate all'articolo 5,
prima comma, lettera b).
L'obbligazione di pagare le
somme previste nella presente legge non è trasmissibile agli
eredi.
Art. 8
La violazione, quando sia
possibile, deve essere contestata immediatamente al
trasgressore, il quale è ammesso a pagare il minimo della
sanzione nelle mani di chi accerta la violazione.
Se non sia avvenuta la
contestazione personale al trasgressore, gli estremi della
violazione debbono essere notificati agli interessati residenti
in Italia entro il termine di trenta giorni dall'accertamento.
Qualora il pagamento non
avvenga immediatamente, il trasgressore può provvedervi, entro
il termine perentorio di quindici giorni dalla data di
contestazione o della notificazione, anche a mezzo di versamento
in conto corrente postale nel luogo e con le modalità indicate
nel verbale di contestazione della violazione.
A decorrere dal sedicesimo
giorno e fino al sessantesimo giorno dalla contestazione o dalla
notificazione, il trasgressore è ammesso al pagamento, con le
modalità di cui al precedente comma, di una somma pari ad un
terzo del massimo della sanzione.
Art. 9
I soggetti legittimati ad
accertare le infrazioni, ai sensi delle norme richiamate
dall'articolo 2 della presente legge, qualora non abbia avuto
luogo il pagamento di cui al precedente articolo 8, presentano
rapporto al prefetto con la prova delle eseguite contestazioni o
notificazioni.
Il prefetto, se ritiene fondato
l'accertamento, sentiti gli interessati ove questi ne facciano
richiesta entro quindici giorni dalla scadenza del termine utile
per l'oblazione, determina, con ordinanza motivata, la somma
dovuta per la violazione entro i limiti, minimo e massimo,
stabiliti dalla legge e ne ingiunge il pagamento, insieme con le
spese per le notificazioni, all'autore della violazione.
L'ingiunzione prefigge un
termine per il pagamento stesso, che non può essere inferiore a
trenta giorni e superiore a novanta giorni dalla notificazione.
L'ingiunzione costituisce
titolo esecutivo.
Contro di essa gli interessati
possono proporre azione davanti al pretore del luogo in cui è
stata accertata la violazione entro il termine massimo prefisso
per il pagamento.
L'esercizio dell'azione davanti
al pretore non sospende l'esecuzione forzata sui beni di coloro
contro i quali l'ingiunzione è stata emessa, salvo che
l'autorità giudiziaria ritenga di disporre diversamente.
Nel procedimento di
opposizione, l'opponente può stare in giudizio senza ministero
di difensore in deroga a quanto disposto dall'articolo 82,
secondo comma, del Codice di procedura civile. Gli atti di
procedimento sono esenti da imposta di bollo e la relativa
decisione non è soggetta alla formalità della registrazione.
L'opposizione si propone
mediante ricorso. Il pretore fissa con decreto l'udienza di
comparizione, da tenersi entro venti giorni, e dispone la
notifica a cura della cancelleria del ricorso e del decreto al
prefetto e ai soggetti interessati.
E' inappellabile la sentenza
che decide la controversia.
Art. 10
Il diritto a riscuotere le
somme, dovute per le violazioni indicate dalla presente legge,
si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è
stata commessa la violazione.
Art. 11
Salvo quanto è disposto
dall'articolo 9, decorso il termine prefisso per il pagamento,
alla riscossione delle somme dovute, su richiesta della
Amministrazione della sanità procede l'intendenza di finanza,
mediante esecuzione forzata con la osservanza delle norme del
testo unico approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639,
sulla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello
Stato e degli altri enti pubblici.
Art.12
La presente legge entra in
vigore il centottantesimo giorno dalla data della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Direttiva
del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995
pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 11, del 15 gennaio 1995.
riassunto:
la legge da una interpretazione
estensiva
della legge n.584.
Estende il divieto di fumo a tutti i locali
aperti al pubblico della pubblica amministrazione e dei
gestori dei servizi pubblici. (art.3) |
nota:
vedi anche la Circolare
del ministro della sanità Veronesi del 2001,
che a partire da questa direttiva e altre leggi e
decreti, fa l'elenco esemplificativo e dettagliato dei
luoghi dove è espressamente vietato fumare. |
Divieto
di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o
dei gestori di servizi pubblici
Il
Presidente del Consiglio dei Ministri:
Vista la legge 11
novembre 1975, n. 584, concernente il divieto di fumare in
determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico;
Visto l'art. del decreto del Presidente della Repubblica 11
luglio 1980, n. 753, recante nuove norme in materia di polizia,
sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e degli
altri servizi di trasporto; Visto l'art. 25 del regio decreto 24
dicembre 1934, n. 2316, concernente il testo unico delle leggi
sulla protezione ed assistenza della maternità e dell'infanzia;
Vista la decisione del tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sezione I-bis, 17 marzo 1995, n. 462, che, confermando un
proprio indirizzo giurisprudenziale, ha dato una
interpretazione estensiva dell'art. 1, lettera b), della
legge 11 novembre 1975, n. 584, nel senso che, ai fini della
tutela dei non fumatori, debbano intendersi per <<locali
chiusi adibiti a pubblica riunione>> non solo quelli di
proprietà pubblica, ma anche quelli di proprietà privata, in
relazione alla fruibilità degli stessi da parte di membri
indifferenziati della collettività per il servizio che vi si
rende o per l'attività che vi si svolge; Considerato che nella
predetta decisione del tribunale amministrativo regionale del
Lazio si rileva che dall'accoglimento del ricorso discende, per
le amministrazioni interessate, l'obbligo di provvedere
concretamente in maniera satisfattiva dell'interesse fatto
valere;
Vista l'ordinanza 14 maggio 1995, n. 687, della quarta sezione
del Consiglio di Stato, con la quale è stata rigettata la
domanda di sospensione cautelare della decisione sopra citata,
con l'argomentazione che <<l'obbligo imposto alle
amministrazioni intimate dalla sentenza appellata deve
intendersi limitato all'adozione dei provvedimenti necessari ad
assicurare il divieto di fumo negli ambienti chiusi, di proprietà
della pubblica amministrazione, e negli altri locali pubblici o
parti al pubblico nei quali i cittadini debbono recarsi in
funzione dell'utenza di servizi resi dall'amministrazione>>;
che <<restano estranei all'ambito della efficacia
oggettiva della sentenza appellata i locali di proprietà
pubblica non aperti al pubblico e quelli di proprietà privata
nei quali non vengono erogati servizi dell'amministrazione>>
e che <<il suddetto obbligo deve ritenersi operativo nei
confronti dei soli ambienti con riguardo ai quali le singole
amministrazioni intimate (Ministero della sanità e, comuni di
Roma, Torino, Genova, Napoli e Bari) sono titolari di specifici
e tipici poteri di ordinanza o di direttiva intesi ad assicurare
l'osservanza del divieto di cui all'art. 1 della legge n. 584
del 1975>>;
Ritenuta peraltro
l'opportunità, nel dare doveroso adempimento a quanto
prescritto dalla giurisdizione amministrativa, di estenderne gli
effetti oltre i limiti soggettivi del rapporto processuale, vale
a dire non solo nei confronti delle amministrazioni parte in
giudizio (Ministero della sanità e, comuni di Roma, Torino,
Genova, Napoli e Bari) ma nei confronti di tutte le pubbliche
amministrazioni naturali destinatarie dei poteri di direttiva
del Governo, nonchè, per il tramite di queste, nei confronti
dei privati esercenti pubblici servizi a titolo di concessione o
appalto o convenzione o accreditamento; Visti gli articoli 2,
comma 3, lettera d), e 5, comma 2, lettera e), della legge 23
agosto 1988, n. 400;
Sentito il
Consiglio dei Ministri nella riunione del 14 dicembre 1995;
Sulla proposta del Ministro della sanità;
Adotta la
seguente direttiva:
Articolo 1
La presente
direttiva, emessa ai sensi dell'art. 5, comma 2, lettera e),
della legge 23 agosto 1988, n. 400, sarà osservato dalle
amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le
scuole di ogni ordine e grado e dalle istituzioni educative;
dalle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo; dalle istituzioni universitarie; dagli enti locali e
dai loro consorzi ed associazioni; dagli enti pubblici non
economici nazionali e locali; dalle aziende e dagli enti del
servizio sanitario nazionale.
Articolo
2
Le amministrazioni
e gli enti pubblici destinatari del presente atto eserciteranno
i loro poteri amministrativi, regolamentari e disciplinari,
nell'ambito dei propri uffici e delle proprie strutture, nonchè
i loro poteri di indirizzo, di vigilanza e di controllo sulle
aziende ed istituzioni da esse dipendenti e sulle aziende
private esercenti servizi pubblici, anche sanitari, in regime di
concessione o di appalto, ovvero di convenzione o
accreditamento, affinchè sia data piena applicazione al
divieto di fumo in luoghi determinati, di cui alla legge 11
novembre 1975, n. 584, secondo l'interpretazione recepita
nelle pronunce della magistratura amministrativa citate nel
preambolo del presente atto.
Articolo
3
In particolare
saranno osservati i seguenti criteri interpretativi:
a) il divieto va applicato in tutti i locali
utilizzati, a qualunque titolo, dalla pubblica amministrazione e
dalle aziende pubbliche per l'esercizio di proprie funzioni
istituzionali, nonchè dai privati esercenti servizi pubblici
per l'esercizio delle relative attività, semprechè si tratti
-- in entrambi i casi -- di locali che in ragione di tali
funzioni sono aperti al pubblico;
b) per locale <<aperto al pubblico>>
s'intende quello al quale la generalità degli amministrati e
degli utenti accede, senza formalità e senza bisogno di
particolari permessi negli orari stabiliti;
c) il divieto va comunque applicato nei luoghi
nominativamente indicati nell'art. 1 della legge 11 novembre
1975, n. 584, ancorchè non si tratti di locali <<aperti
al pubblico>> nel senso sopra precisato (esempio: corsie
di ospedali, aule scolastiche); a questi fini s'intende che fra
le aule delle scuole di ogni ordine e grado sono comprese quelle
universitarie;
d) resta salva l'autonomia regolamentare e
disciplinare delle amministrazioni e degli enti in ordine
all'eventuale estensione del divieto a luoghi diversi da quelli
contemplati dalla legge 11 novembre 1975, n. 584, con gli
strumenti e gli effetti propri dei rispettivi ordinamenti.
Articolo 4
Per l'attuazione
delle presenti direttive saranno curati i seguenti adempimenti:
a) nei locali nei quali si applica il divieto di fumo saranno
apposti cartelli con l'indicazione del divieto stesso nonchè
l'indicazione della relativa norma, delle sanzioni applicabili,
del soggetto cui spetta vigilare sull'osservanza del divieto e
dell'autorità cui compete accertare le infrazioni; b) i
dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio
individueranno in ciascuna di esse uno o più funzionari
incaricati di procedere alla contestazione di eventuali
infrazioni, di verbalizzarle e di riferirne all'autorità
competente, come previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689;
c) per i locali condotto da soggetti privati, il responsabile
della struttura, ovvero il dipendente o collaboratore da lui
incaricato, richiamerà i trasgressori all'osservanza del
divieto, e curerà che le infrazioni siano segnalate ai pubblici
ufficiali ed agenti competenti a norma dell'art. 13 della legge
24 novembre 1981, n. 689; d) a cura dei prefetti saranno
rilevati i dati in merito all'osservanza, nelle diverse
amministrazioni, delle norme sul divieto di fumare e sul numero
delle infrazioni annualmente contestate; i dati sono comunicati
al Ministro della sanità, che ne riferisce in Parlamento.
Decreto
legislativo n.626 del 19 settembre 1994
Norme per
l’igiene e la sicurezza del lavoro
pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n.265 del 12 novembre 1994.
nota:
Il decreto impone al datore di lavoro di adottare misure
per la protezione della salute dei lavoratori, facendo
anche esplicito rieferimento agli agenti cancerogeni.
Ne riportiamo solo
alcune parti: l' articolo 3 (misure generali di tutela)
e gli articoli 64
e 65
che ricorrono nelle citazioni legislative in materia di
fumo).
Per il testo
completo: Decreto
626
|
...
Art. 3
Misure generali di tutela.
1. Le misure
generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei
lavoratori sono:
a) valutazione
dei rischi per la salute e la sicurezza;
b) eliminazione dei rischi in relazione alle
conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò
non è possibile, loro riduzione al minimo;
c) riduzione dei rischi alla fonte;
d) programmazione della prevenzione mirando ad
un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le
condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda
nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro;
e) sostituzione di ciò che è pericoloso con
ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
f) rispetto dei principi ergonomici nella
concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature
e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per
attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;
g) priorità delle misure di protezione
collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
h) limitazione al minimo del numero dei
lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
i) utilizzo limitato degli agenti chimici,
fisici e biologici, sui luoghi di lavoro;
l) controllo sanitario dei lavoratori in
funzione dei rischi specifici;
m) allontanamento del lavoratore
dall'esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti la sua
persona;
n) misure igieniche;
o) misure di protezione collettiva ed
individuale;
p) misure di emergenza da attuare in caso di
prono soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei
lavoratori e di pericolo grave ed immediato;
q) uso di segnali di avvertimento e di
sicurezza;
r) regolare manutenzione di ambienti,
attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai
dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei
fabbricanti;
s) informazione, formazione, consultazione e
partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti,
sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo
di lavoro;
t) istruzioni adeguate ai lavoratori.
2. Le misure
relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il
lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per
i lavoratori.
...
Art.
64
Misure tecniche,
organizzative, procedurali.
1. Il datore
di lavoro:
a) assicura,
applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle
varie operazioni lavorative sono impiegati quantitativi di
agenti cancerogeni non superiori alle necessità delle
lavorazioni e che gli agenti cancerogeni in attesa di impiego,
in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non
sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori
alle necessità predette;
b) limita al minimo possibile il numero dei
lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti
cancerogeni anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate
provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza,
compresi i segnali "vietato fumare", ed accessibili
soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi
con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree è
fatto divieto di fumare;
c) progetta, programma e sorveglia le
lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti
cancerogeni nell'aria. Se ciò non è tecnicamente possibile,
l'eliminazione degli agenti cancerogeni deve avvenire il più
vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione
localizzata, nel rispetto dell'art. 4, comma 5, lettera n).
L'ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato
sistema di ventilazione generale;
d) provvede alla misurazione di agenti
cancerogeni per verificare l'efficacia delle misure di cui alla
lettera c) e per individuare precocemente le esposizioni anomale
causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con
metodi di campionatura e di misurazione conformi alle
indicazioni dell'allegato VIII del decreto legislativo 15 agosto
1991, n. 277;
e) provvede alla regolare e sistematica
pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti;
f) elabora procedure per i casi di emergenza
che possono comportare esposizioni elevate;
g) assicura che gli agenti cancerogeni sono
conservati, manipolati, trasportati in condizioni di sicurezza;
h) assicura che la raccolta e
l'immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei
residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni,
avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando
contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto,
visibile;
i) dispone, su conforme parere del medico
competente, misure protettive particolari per quelle categorie
di lavoratori per i quali l'esposizione a taluni agenti
cancerogeni presenta rischi particolarmente elevati.
Art.
65
Misure igieniche.
1. Il datore
di lavoro:
a) assicura
che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati ed
adeguati;
b) dispone che i lavoratori abbiano in
dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti
separati dagli abiti civili;
c) provvede affinché i dispositivi di
protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati,
controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì
a far riparare o sostituire quelli difettosi, prima di ogni
nuova utilizzazione.
2. È vietato
assumere cibi e bevande o fumare nelle zone di lavoro di cui
all'art. 64, lettera b).
Sentenza
della Corte Costituzionale n. 399
dell'
11 dicembre 1996
pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 1996.
nota:
La sentenza stabilisce che il datore di lavoro deve
tutelare i suoi dipendenti dal fumo passivo (vedi
il brano sottolineato della sentenza)
e che comunque il diritto di non inalare fumo passivo
viene sempre prima del diritto di fumare (vedi
il brano2 sottolineato della sentenza). |
riassunto:
la corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale di alcune norme in materia di fumo, che
secondo i querelanti sono incostituzionali perchè non
sufficenti a garantire la salute dei cittadini. La corte
dichiara che non sono incostituzionali, perchè comunque
le leggi esistenti se ben interpretate, tutelano già
dal fumo passivo. |
Giudizio
di legittimità costituzionale in via incidentale
Richiamo alla
costante giurisprudenza della Corte in materia (sentenze nn.
218/1994, 202/1991, 307 e 455 del 1990, 559/1987 e 184/1986) -
assoluta esigenza del dovere di non ledere, né porre a rischio,
con comportamenti dannosi, la salute altrui costituente bene
primario e diritto fondamentale della persona e bisognevole
pertanto di piena ed esaustiva tutela, sia in ambito
pubblicistico che nei rapporti di diritto privato - diritto del
lavoratore a chiamare il datore di lavoro dinanzi al giudice per
l’accertamento di eventuali responsabilità nel predisporre
gli adeguati strumenti di tutela, con relativo dovere e
responsabilità da parte dei datori di lavoro, di attivarsi per
verificare che la salute dei lavoratori sia adeguatamente
tutelata - insussistenza di violazione di norma costituzionali
alla luce di una corretta interpretazione del sistema delle
norme positive vigenti già idonee a realizzare la protezione
dal fumo passivo in modo conforme al principio costituzionale -
non fondatezza.(Legge 11 novembre 1975, n. 584, artt. 1, lett.
A); d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303, artt. 9 e 14, modificati
dall’art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626; d.lgs. 19
settembre 1994, n. 626, artt. 64, lett. b) e 65, comma
2).(Cost., artt. 3 e 32).
La
Corte Costituzionale composta dai signori:
Presidente:
dott. Renato Granata;
Giudici: prof.
Giuliano Vassalli, prof. Francesco Guizzi, prof. Cesare
Mirabelli, prof. Fernando Santosuosso, avv. Massimo Vari, dott.
Cesare Ruperto, dott. Riccardo Chieppa, prof. Gustavo
Zagrebelsky, prof. Valerio Onida, prof. Carlo Mezzanotte, avv.
Fernanda Contri, prof. Guido Neppi Modona, prof. Piero Alberto
Capotosti;
ha
pronunciato la seguente
Sentenza nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, lettera
a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in
determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del
d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del
lavoro), così come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19
settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee,
89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee,
90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro),
nonché 64, lettera b) e 65, secondo comma, del citato decreto
n. 626 del 1994, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio
1996 dal tribunale di Torino, nel procedimento civile vertente
tra Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a. e Abronio
Susanna e altri, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1996
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29,
prima serie speciale, dell'anno 1996;
visti gli atti
di costituzione dell'Istituto bancario San Paolo di Torino
s.p.a. e di Vergnano Claudio;
udito
nell'udienza pubblica del 12 novembre 1996 il giudice relatore
Fernando Santosuosso;
udito l'avv.to
Paolo Tosi per Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a.
Ritenuto
in fatto
1.
- Nel corso di una controversia di lavoro promossa da oltre 300
dipendenti nei confronti dell'Istituto bancario San Paolo di
Torino s.p.a., finalizzato a ottenere provvedimenti idonei a
tutelare la salute dei non fumatori contro i danni del c.d. fumo
«passivo», il tribunale di Torino ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32
della Costituzione, degli artt. 1, lettera a), della legge 11
novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e
su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo
1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così
come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n.
626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee,
89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee
riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei
lavoratori sul luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65,
comma 2, del citato decreto n. 626 del 1994.
Nell'ampia
ordinanza di rimessione il giudice a quo, dopo aver premesso una
serie di osservazioni in merito all'accertata nocività del fumo
passivo – da ritenersi ormai pacificamente dimostrata sulla
base dei numerosi studi scientifici sull'argomento – rileva
che la normativa vigente, nell'indicare i luoghi nei quali il
fumo è vietato, irragionevolmente non ha incluso nell'elenco i
luoghi di lavoro in quanto tali, bensì soltanto in relazione a
talune situazioni marginali; e i numerosi progetti e disegni di
legge presentati in Parlamento, finalizzati all'estensione del
divieto di fumare in altri luoghi e specialmente a quelli di
lavoro, non hanno avuto alcun seguito.
Tanto premesso,
il Tribunale rileva che, pur potendo l'art. 2087 del codice
civile considerarsi una norma «aperta», sulla quale fondare il
dovere del datore di lavoro di adottare ogni misura idonea a
tutelare la salute del lavoratore, non è consentito, sulla base
di tale norma, un legittimo divieto di fumare disposto dal
datore di lavoro di fronte a locali dell'azienda inquinati dal
fumo passivo; e ciò perché il d.lgs. 19 settembre 1994, n.
626, nel dettare regole per la tutela dei lavoratori, ha
previsto che l'obbligo di adottare misure specifiche per la
protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo
valga soltanto per i locali di riposo e con riguardo ad alcune
lavorazioni particolarmente esposte a rischio cancerogeno.
Ne consegue
che, non essendo più possibile una lettura estensiva delle
norme vigenti, la tutela apprestata dal legislatore a protezione
della salute dei lavoratori non fumatori deve ritenersi, allo
stato, del tutto insufficiente, e perciò in contrasto con
l'art. 32 della Costituzione.
Il giudice a
quo mostra piena consapevolezza del fatto che questa Corte, con
la sentenza n. 202 del 1991, dichiarando inammissibile una
questione non molto diversa da quella attuale, ebbe a rivolgere
al legislatore un monito, rimasto inascoltato, affinché
apprestasse una più incisiva e completa tutela della salute dei
cittadini dai danni del fumo passivo. Questa situazione, unita
all'impossibilità di un'interpretazione estensiva delle norme
vigenti – accolta invece dal giudice di primo grado – e alla
diversità della domanda giudiziale – in questo caso non
risarcitoria, ma di prevenzione dei danni –, induce il
tribunale di Torino a sottoporre nuovamente la questione
all'esame della Corte, chiedendo che la normativa sopra
richiamata venga dichiarata incostituzionale nella parte in cui
non prevede il divieto di fumare nei luoghi di lavoro chiusi.
2. -
Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito
l'Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a., chiedendo che la
questione venga dichiarata infondata. In prossimità
dell'udienza, la difesa dell'Istituto ha presentato una memoria,
insistendo per l'accoglimento delle conclusioni già formulate.
Preliminarmente,
la difesa della banca ha osservato che le norme della legge n.
584 del 1975 che regolano il divieto di fumo non sono poste a
tutela dei singoli in quanto lavoratori, bensì in quanto
soggetti che, per le più svariate motivazioni (studio, salute,
divertimento, ecc.), si trovano a soggiornare per un certo
periodo in luoghi chiusi; ne conseguirebbe che, mancando ogni
collegamento tra le ipotesi previste dal legislatore e quella di
cui si lamenta l'omissione (luoghi di lavoro chiusi), la pretesa
violazione del principio di ragionevolezza sarebbe comunque
insussistente.
L'Istituto
osserva poi che, come già rilevato dalla Corte nella sentenza
n. 202 del 1991, la pronuncia richiesta dal Tribunale rimettente
è inammissibile sia perché non sussiste una soluzione
costituzionalmente necessitata, sia perché una pronuncia
estensiva del divieto di fumare finirebbe col creare una nuova
ipotesi di reato.
3.
- Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito anche
Vergnano Claudio, con atto depositato fuori termine.
Considerato
in diritto
1.
- Il tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32 della
Costituzione, degli artt. 1, lettera a), della legge 11 novembre
1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi
di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303
(Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati
dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione
delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee,
90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul
luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, comma 2, del
citato decreto n. 626 del
1994, nella
parte in cui non prevedono il divieto di fumare nei luoghi di
lavoro chiusi.
2.
- Occorre premettere il richiamo alla costante giurisprudenza di
questa Corte (sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307
e 455 del 1990, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986) secondo cui
la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale
della persona e impone piena ed esaustiva tutela, tale da
operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto
privato.
È
stato pure ripetutamente affermato che la tutela della salute
riguarda la generale e comune pretesa dell'individuo a
condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a
rischio questo suo bene essenziale. E tale tutela implica non
solo situazioni attive di pretesa, ma comprende – oltre che
misure di prevenzione – anche il dovere di non ledere né
porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui.
Pertanto, ove si profili una incompatibilità tra il diritto
alla tutela della salute, costituzionalmente protetto, e i
liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura
costituzionale, deve ovviamente darsi prevalenza al primo.
Una questione
analoga a quella presente è stata già sottoposta a scrutinio
di costituzionalità; in quella occasione la Corte – pur dando
per pacifica la nocività del c.d. fumo passivo – è pervenuta
a una pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 202 del 1991),
soprattutto per motivi di non rilevanza nel giudizio a quo. Non
ha mancato, tuttavia, di affermare la legittimità (ex art. 32
della Costituzione e art. 2043 del codice civile) di una
richiesta diretta al risarcimento dei danni per detta causa; e,
nel contempo, ha rivolto al legislatore l'invito a intervenire
per la «necessità di apprestare una più incisiva e completa
tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo
anche c.d. passivo, trattandosi di un bene fondamentale e
primario costituzionalmente garantito».
3. -
Il tribunale propone ora la questione di legittimità non ai
fini del divieto di fumo nei locali considerati nella sentenza
n. 202 del 1991, ma con riguardo ai pregiudizi derivanti dal
fumo passivo nei locali di lavoro chiusi, per considerazioni
specificamente relative a questi luoghi. Avverte il rimettente
che «non viene qui svolta domanda di risarcimento, bensì
un'azione in via preventiva per l'adozione di misure atte a
evitare la verificazione di un danno». Rileva inoltre che,
successivamente alla sentenza n. 202 del 1991, il legislatore,
in attuazione delle direttive comunitarie, ha disciplinato (nel
decreto legislativo n. 626 del 1994) la materia concernente la
tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, senza
peraltro introdurre il divieto assoluto e generalizzato di
fumare in tutti i luoghi di lavoro; divieto che dovrebbe invece
discendere necessariamente dall'esigenza, prevista dalla
Costituzione, della efficace protezione della salute, sul
presupposto che la vigente normativa non contiene altri
strumenti idonei a evitare il pregiudizio derivante ai
lavoratori dal fumo passivo nei locali chiusi.
La legge –
lamenta in proposito – mentre esige espressamente la «protezione
dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo» in
relazione ad alcuni locali (corsie di ospedali, aule
scolastiche, mezzi di trasporto pubblico), per quelli «adibiti
a pubblica riunione», nonché in una serie di «locali di
divertimento» (e la direttiva 14 dicembre 1995 della Presidenza
del Consiglio estende questi divieti a tutti i locali aperti al
pubblico appartenenti alla pubblica amministrazione, alle
aziende pubbliche e ai privati esercenti pubblici servizi), non
prevede analoghi divieti per i luoghi di lavoro, dove una
molteplicità di dipendenti sono tenuti a permanere per lungo
tempo.
Parimenti
irragionevole dovrebbe ritenersi che tali divieti siano previsti
nell'ambito delle aziende solo per i locali di riposo o – come
accettato anche dall'Istituto bancario – per quelli di comune
frequentazione (bar, mense, ecc.) da parte di lavoratori e non
invece per quelli dove le stesse persone devono trattenersi
obbligatoriamente per prestare in piena efficienza le loro
energie lavorative.
4.
- L'ordinanza di rimessione, come si è detto, muove da due
presupposti: che, avendo la legge direttamente previsto il
divieto di fumare in determinati luoghi, tale divieto non possa
essere disposto dal datore di lavoro in altri luoghi o
circostanze; e che il vigente sistema normativo non offre
comunque altri strumenti idonei a tutelare la salute dei
lavoratori così come voluto dalla Costituzione. Senonché, tali
presupposti sono erronei, dal momento che, pur non essendo
ravvisabile nel diritto positivo un divieto assoluto e
generalizzato di fumare in ogni luogo di lavoro chiuso, è anche
vero che nell'ordinamento già esistono disposizioni intese a
proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a
danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo.
Se alcune norme
prescrivono legislativamente il divieto assoluto di fumare in
speciali ipotesi, ciò non esclude che da altre disposizioni
discenda la legittimità di analogo divieto con riguardo a
diversi luoghi e secondo particolari circostanze concrete; è
inesatto ritenere, comunque, che altri rimedi voluti dal vigente
sistema normativo siano inidonei alla tutela della salute dei
lavoratori anche rispetto ai rischi del fumo passivo. E invero,
non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) a
imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la
protezione della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori;
numerose altre disposizioni, tra cui la disciplina contenuta nel
decreto legislativo n. 626 del 1994, assumono in proposito una
valenza decisiva. L'art. 2087 del codice civile stabilisce che
l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa
tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro,
l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La
Cassazione (sentenza n. 5048 del 1988) ha ritenuto che tale
disposizione «come tutte le clausole generali, ha una funzione
di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante
realtà socio-economica» e pertanto «vale a supplire alle
lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di
rischio, e ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima
di adeguamento di essa al caso concreto».
Analogamente
gli artt. 1, 4 e 31 del decreto legislativo del 19 settembre
1994, n. 626, dispongono che il datore di lavoro, «in relazione
alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità
produttiva», debba valutare, anche «nella sistemazione dei
luoghi di lavoro», i rischi per la sicurezza e per la salute
dei lavoratori, «adottare le misure necessarie», e «aggiornare
le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi
e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della
sicurezza», riaffermando l'obbligo di «adeguare i luoghi di
lavoro alle prescrizioni di sicurezza e di salute».
Con più
specifico riferimento alla «salubrità dell'aria» nei locali
di lavoro chiusi, l'art. 9 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303,
modificato dall'art. 16 del d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242,
stabilisce la necessità che i lavoratori «dispongano di aria
salubre in quantità sufficiente, anche ottenuta con impianti di
aerazione»; impianti che peraltro devono essere sempre
mantenuti in efficienza e «devono funzionare in modo che i
lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiose». E
all'ultimo comma di detto art. 9 si soggiunge «che qualsiasi
sedimento che potrebbe comportare un pericolo per la salute dei
lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve
essere eliminato rapidamente». A questi precisi e dettagliati
doveri del datore di lavoro fa riscontro il diritto dei
lavoratori (art. 9 della legge 20 maggio 1970, n. 300) di
controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione e di
promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le
misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità
fisica. Coerentemente il d.lgs. n. 626 del 1994 prevede (art.
18) anche la figura del rappresentante dei lavoratori che ha tra
l'altro il compito (art. 19, lett. h) di promuovere
l'elaborazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee
a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori.
Costoro hanno, inoltre, la possibilità di chiamare il datore di
lavoro dinanzi al giudice per l'accertamento di eventuali
responsabilità nel predisporre gli adeguati strumenti di
tutela.
5. -
Nel sottolineare l'ampiezza dei doveri e delle responsabilità
(cui corrispondono i relativi poteri organizzativi) che le norme
richiamate attribuiscono ai datori di lavoro, la Corte osserva
che, in adempimento di queste disposizioni, di natura non solo
programmatica ma precettiva, costoro devono attivarsi per
verificare che in concreto la salute dei lavoratori sia
adeguatamente tutelata. Non è dato ovviamente precisare in
questa sede le varie misure possibili e le modalità di detti
interventi (dislocazioni, orari, impianti, fino a eventuali
divieti), dal momento che ciò discende, oltre che dal rispetto
delle prescrizioni legislative, dalle diligenti valutazioni del
datore di lavoro in corrispondenza alle diverse circostanze in
cui viene prestata l'attività lavorativa, nonché dal controllo
dei lavoratori, degli ispettori e del giudice del lavoro.
Alla
Corte compete rilevare, invece, che il dovere di vigilare e di
provvedere adeguatamente, cui fa riscontro il diritto dei
lavoratori (art. 9 dello Statuto, e art. 19 del d.lgs. n. 626
del 1994), è già desumibile dalle norme positive, lette come
attuazione dei principi costituzionali di tutela della salute. E
in tale quadro il datore di lavoro troverà le misure
organizzative sufficienti a conseguire il fine della protezione
dal fumo passivo in modo conforme al principio costituzionale
dell'art. 32. Il rispetto di questo principio nella presente
questione va inteso nel senso che la tutela preventiva dei non
fumatori nei luoghi di lavoro può ritenersi soddisfatta quando,
mediante una serie di misure adottate secondo le diverse
circostanze, il rischio derivante dal fumo passivo, se non
eliminato, sia ridotto a una soglia talmente bassa da far
ragionevolmente escludere che la loro salute sia messa a
repentaglio.
6.
- Una volta accertato che la normativa in vigore prevede
strumenti idonei a un’adeguata protezione della salute dei
lavoratori anche dal pericolo del fumo passivo, resta assorbito
l'esame della richiesta di un intervento finalizzato
all'estensione del divieto assoluto e generalizzato di fumare in
tutti i luoghi di lavoro chiusi; intervento che il giudice
rimettente aveva ritenuto come l'unico mezzo efficace per la
protezione della salute secondo l'art. 32 della Costituzione. Se
al legislatore – per l'invito già a lui rivolto – resta il
compito di riconsiderare l'intera materia per migliorare la
disciplina in tema di tutela della salute dei cittadini, e in
particolare la prevenzione dai danni cagionati dal fumo passivo,
deve tuttavia concludersi che, riguardo ai luoghi di lavoro, la
corretta interpretazione del sistema vigente non consente di
ritenere sussistente la violazione delle norme costituzionali
invocate dal giudice a quo.
Per
questi motivi
La Corte
Costituzionale
Dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt.
1, lettera a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di
fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico),
9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per
l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del
d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive
89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee,
90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento
della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di
lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, secondo comma, del citato
decreto n. 626 del 1994, sollevata, in riferimento agli artt. 3
e 32 della Costituzione, dal tribunale di Torino con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, l'11 dicembre 1996.
Sentenza
della Corte Costituzionale n. 202
del
1991
pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 49, prima serie speciale, 1990.
nota:
La sentenza è del 1991.Il decreto legislativo 626 non
era ancora stato emanato. |
riassunto:
la corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale della legge 584, perchè non prevede il
divieto di fumo in alcuni luoghi, nei quali quindi la
salute non risulta tutelata, sollevata dal giudice
conciliatore durante un procedimento per risarcimento
danni da fumo passivo. La corte dichiara che la
incostituzionalità non sussiste.L'articolo 32 della
costituzione e l'articolo 2043 del codice civile sono
sufficenti a stabilire il diritto dei querenati di
essere risarciti dei danni subiti a causa del fumo
passivo. |
SENTENZA N.202
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Dott. Aldo CORASANITI,
Giudici
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA nel giudizio di
legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. a e b, della
legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati
locali e su mezzi di trasporto pubblico), promosso con ordinanza
emessa l'8 settembre 1990 dal giudice Conciliatore di Roma nel
procedimento civile vertente tra De Russis Vito Nicola ed altro
e U.S.L. RM 4 ed altri iscritta al n. 718 del registro ordinanze
1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
49, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visti gli atti di costituzione di De Russis Vito Nicola e di
Candidi Franco;
udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1991 il Giudice
relatore Francesco Greco;
uditi gli avvocati Carlo Rienzi, Roberto Canestrelli Nicolo
Paoletti per De Russis Vito Nicola nonche Paolo Ferrari e Carlo
Mellanotte per Candidi Franco.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso
di un giudizio civile promosso da Vito De Russis e Francesco
Spiga, danneggiati dal cd. fumo passivo, nel pronto soccorso di
un ospedale, nell'ufficio postale, e in un ristorante, nei
confronti del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni,
del direttore dell'Ufficio postale di Roma, via Collatina, n.
78, del titolare del ristorante, nonché della U.S.L. RM 4, onde
ottenere il risarcimento dei danni subiti, il giudice
Conciliatore di Roma ha sollevato questione di legittimità
costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a, della legge 11 novembre 1975, n. 584,
nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle
corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti, in
quanto sussisterebbe una irragionevole differenziazione tra
locali pur in presenza di una identica necessità di protezione
e si discriminerebbero altresì i soggetti costretti, per
necessità di cure o per motivi di lavoro, a permanere nei
diversi locali dell'ospedale, bisognevoli di una stessa incisiva
tutela (violazione dei principi di ragionevolezza ex art. 3
della Costituzione e di tutela della salute ex art. 32 della
Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a, nella parte in cui prevede il divieto
di fumare "nei locali destinati alla istruzione e nei vari
luoghi frequentati dagli utenti di diversi servizi di trasporto,
consentendosi, invece, la diffusione degli effetti del fumo,
nocivi alla salute, nei locali nei quali si eroga il servizio
pubblico postale; gli utenti di quest'ultirno sarebbero
illegittimamente discriminati rispetto agli utenti degli altri
servizi pubblici protetti (sanità, istruzione, trasporto,
ecc.), essendo pari la loro rilevanza costituzionale (ulteriore
violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
c) dell'art. 1; lett. b, nella parte in cui non prevede il
divieto di fumare all'interno dei ristoranti.Sussisterebbe una
immotivata disparità di trattamento e di tutela tra i
frequentatori di sale da ballo e di sale corse, tutelati dal
fumo passivo, e coloro che si recano nei ristoranti, non affatto
tutelati (violazione degli arti. 3 e 32 della Costituzione).
Inoltre, la suddetta disposizione, interpretata secondo il
parere del Consiglio di Stato n. 540 dei 1976, nel senso della
applicabilità ai soli casi in cui vi sia un incontro di più
persone in luogo pubblico per un tempo definito e per uno scopo
consentito, importerebbe violazione degli arti. 2 e 3 della
Costituzione che garantiscono la realizzazione dell'individuo
anche in aggregati sociali, quali sono favoriti da tutti i
luoghi di svago e di riposo dei cittadini e dei lavoratori,
nonché dell'art. 17 della Costituzione che riconosce a tutti i
cittadini l'identico diritto di riunirsi pacificamente, anche a
seguito e per effetto della predisposizione di un medesimo
regime giuridico per tutte le forme attraverso le quali tale
diritto si realizza.
In punto di rilevanza, il Conciliatore ha osservato che l'esame
e la decisione delle proposte domande risarcitorie sarebbero
precluse dalle disposizioni censurate che considerano lecito
fumare nei locali chiusi nei quali si è verificata la
situazione dannosa subita dagli attori.
2.-
L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata
altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
2.1- Nel giudizio si sono costituiti soltanto il De Russis e il
Candidi.
2.2- La difesa del Candidi ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità della questione o, in subordine, per la
infondatezza.
Ha osservato che la proposta questione è irrilevante, in quanto
l'azione risarcitoria proposta nel giudizio a quo si fonda
direttamente sul combinato disposto degli artt. 32 della
Costituzione e 2043 del codice civile, mentre la legge n. 584
dei 1975, si limita a prevedere, in caso di violazione del
divieto di fumare, l'applicazione di sanzioni amministrative.
Non sarebbe stata valutata l'effettiva sussistenza dei
pregiudizio alla salute lamentato dagli interessati.
La questione sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, non
essendo stati convenuti in giudizio gli autori del fatto
illecito, cioè i fumatori.
Nel merito, la questione sarebbe infondata perché:
a) postula l'emanazione di una sentenza additiva in una materia
nella quale si profila una pluralità di soluzioni derivanti da
varie valutazioni possibili;
b) si assume a tertium comparationis il divieto secondo una
norma derogatoria della libertà di fumare;
c) la citata legge non concerne in modo alcuno gli aspetti
risarcitori connessi all'eventuale danno alla salute per
esposizione al fumo cosiddetto "passivo";
d) non è chiarita la ragione per cui le limitazioni del divieto
possano impingere sul diritto dei cittadini di riunirsi
pacificamente ovvero impedire il pieno sviluppo della persona
umana.
Nella memoria, la difesa del De Russis ha osservato che sussiste
un nesso di causalità tra la esposizione al fumo degli attori e
la lesione del loro diritto alla salute; che vige
nell'ordinamento il principio di ordine generale secondo cui i
gestori dei locali aperti al pubblico, che si frequentano per
necessità o per opportunità e ai quali si accede liberamente,
devono garantire condizioni igienico-sanitarie ottimali, mentre
la legge impugnata, non prevedendo il divieto di fumare in detti
locali, rende lecita la loro condotta; che la questione
sollevata sarebbe inammissibile solo se nel nostro ordinamento
dal principio costituzionale della tutela della salute potesse
derivare il divieto di fumare nei detti locali,
indipendentemente da una apposita previsione normativa; mentre,
il legislatore a tutela dei malati e dei giovani, ha previsto il
divieto di fumare solo in determinati locali; che le finalità
perseguite impongono una interpretazione logica e razionale
della disposizione secondo cui il divieto di fumare "nelle
corsie degli ospedali esso vale per tutti gli ambienti non può
essere ritenuta tassativa sancisce il divieto di fumare solo i
servizi sanitari, scolastici e il divieto dovrebbe riguardare
tutti i locali in cui si erogano servizi pubblici, tra cui
quello postale.
Per quanto riguarda il divieto di fumare nei ristoranti, la
difesa del De Russis ha osservato che l'interesse protetto dal
legislatore importa che per riunione pubblica si debba intendere
riunione di più persone in un luogo aperto al pubblico
qualunque sia lo scopo della riunione stessa; che la
discrezionalità del legislatore sussiste solo in ordine alla
scelta dei mezzi che non consentano la permanenza dei fumo nei
locali ove si fuma; che la nocività del fumo, specie quello cd.
passivo, è generalmente ammessa anche nella Comunità Europea
sia per i fumatori che per i non fumatori in locali frequentati
dai primi.
Nelle note presentate successivamente, la stessa difesa ha
ulteriormente illustrato le suddette argomentazioni.
La difesa del Candidi, in una successiva memoria, ha insistito
sulla inammissibilità della questione.
Considerato in diritto
1.-Il giudice
Conciliatore di Roma dubita della legittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a, della legge 11 novembre 1975, n. 584,
nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle
corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti pur
frequentati dagli ammalati, in quanto sussisterebbe una
irragionevole discriminazione tra i locali degli ospedali per i
quali vi e una identica necessita di tutela e tra soggetti
costretti a permanere nei diversi locali per necessita di cure o
motivi di lavoro (violazione degli artt. 3 e 32 della
Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a, della stessa legge nella parte in cui
prevede il divieto di fumare nei locali destinati alla
istruzione e a vari servizi di trasporto e consente, invece, di
fumare in quelli in cui si eroga il servizio postale,
discriminandosi, cosi, gli utenti di quest'ultimo da quelli
degli altri servizi pur essendo pari la loro rilevanza
costituzionale (violazione degli artt. 3 e 32 della
Costituzione);
c) dell'art. 1, lett. b, stessa legge, nella parte in cui non
prevede il divieto di fumare nei ristoranti mentre lo prevede
nelle sale-corse e nelle sale da ballo, discriminandosi in tal
modo, irragionevolmente, gli utenti degli uni e quelli delle
altre (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
Inoltre, la stessa norma, interpretata secondo il parere del
Consiglio di Stato n. 540 del 1976, nel senso dell'applicabilità
solo nei luoghi pubblici in cui vi sia un incontro di più
persone, per un tempo definito e per uno scopo consentito,
violerebbe anche gli artt. 2 e 3 della Costituzione non
risultando garantita la realizzazione degli individui in alcuni
aggregati sociali, nonché l'art. 17 della Costituzione, non
essendo riconosciuto ad alcuni cittadini il diritto di riunirsi
pacificamente in una delle forme in cui il detto diritto si
realizza.
2. -La difesa
di uno dei convenuti ha eccepito la inammissibilità della
questione.
Ha rilevato che:
a) contrariamente a quanto disposto dagli artt. 1 della legge
n.689 del 1971 e 12 delle preleggi, la richiesta sentenza
renderebbe retroattivamente sanzionabile un comportamento
considerato lecito dalla legge del tempo in cui e stato posto in
essere;
b) non potrebbe ritenersi la colpa specifica, che e l'elemento
costitutivo del dedotto illecito civile, per l'inesistenza, al
momento in cui sono stati commessi i fatti, di una disposizione
di protezione che sancisse il divieto di fumare in pubblici
locali;
c) l'azione di risarcimento del danno alla salute potrebbe
fondarsi soltanto sul combinato disposto degli artt. 32 della
Costituzione e 2043 del codice civile.
3. - Le
eccezioni meritano accoglimento.
La sentenza che si chiede non può essere utile per la
definizione del giudizio a quo, a parte la considerazione che
essa postula una scelta, tra le varie possibili, riservata alla
discrezionalità del legislatore, alla cui attenzione, pero,
deve essere posta la necessita di apprestare una più incisiva e
completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati
dal fumo anche cd.passivo, trattandosi di un bene fondamentale e
primario costituzionalmente garantito (art. 32 della
Costituzione).
3.1 -Nella specie, il fatto dedotto come causa di danni alla
salute dei convenuti si fa consistere nella violazione del
divieto di fumare in locali pubblici diversi da quelli previsti
dalla disposizione censurata (tutti gli ambienti degli ospedali,
locali frequentati dal pubblico per ragioni di lavoro o di svago
o per fruire dei servizi pubblici apprestativi) e da aggiungasi
ad essi per effetto di una disposizione da introdursi
nell'ordinamento con la richiesta sentenza, la quale dovrebbe
sancire anche per essi il divieto di fumare.
La violazione della stessa disposizione dovrebbe concretare la
colpa, cioè il connotato di carattere soggettivo, necessario
per porre a carico degli agenti il risarcimento del danno
cagionato.
La inosservanza dei doveri imposti dalla suddetta disposizione
renderebbe ingiusto il danno da risarcire.
4. -Al
contrario, si deve ritenere che la condotta di un soggetto può
essere assunta a fonte di responsabilità civile per il
risarcimento dei danni solo se al momento in cui e stata posta
in essere sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una
norma conoscibile dall'agente. La colpa specifica, consistente
nella inosservanza della norma che pone la regola di condotta,
può rilevare nel giudizio a quo solo se la disposizione fosse
stata vigente e conoscibile al tempo del fatto.
Anche secondo il vigente indirizzo giurisprudenziale e qualora
la responsabilità venga reputata fondata su colpa, seppure sia
sufficiente per affermare l'esistenza di tale elemento
psicologico il richiamo alla inosservanza di una norma
giuridica, e necessaria l'indicazione espressa delle
disposizioni considerate, le quali devono essere vigenti
all'epoca del verificatosi evento.
Inoltre, anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(artt.5, 6, 7) e interpretata nel senso che, per la rilevanza
delle trasgressioni dei doveri generali sanciti da una
disposizione di legge, occorre, per il comportamento
giuridicamente corretto, la conoscibilità di essa al momento
del fatto.
IL cittadino deve conoscere quale sia il comportamento che la
norma richiede, specie se si tratta di limitazione ad un diritto
di libertà.
5.-D'altra
parte, la dedotta lesione del diritto alla salute (art.32 della
Costituzione) può fondare da sola il richiesto risarcimento dei
danni ex art. 2043 del codice civile. L'art. 32 della
Costituzione, in collegamento con l'art. 2043 del codice civile
pone il divieto primario e generale di ledere la salute.
IL riconoscimento del diritto alla salute come diritto
fondamentale della persona e bene primario, costituzionalmente
garantito, e pienamente operante anche nei rapporti di diritto
privato. Dovendosi riconoscere che la lesione del diritto
soggettivo garantito dall'art. 32 della Costituzione integra la
fattispecie dell'art.2043 del codice civile, non può dubitarsi
dell'obbligo del risarcimento per la violazione del diritto
stesso. In altri termini, dal detto collegamento dell'art. 32
della Costituzione con l'art. 2043 del codice civile discendono
l'ingiustizia del danno e la conseguente sua risarcibilità.
Si nota che il risarcimento riguarda non solo i danni
patrimoniali ma tutti i danni che potenzialmente ostacolano le
attività realizzatrici della persona umana (sentt. Corte cost.
nn. 184 del 1986 e 307 del 1990).
La questione sollevata, mancando la rilevanza, deve essere
dichiarata inammissibile.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1, lett. a e b, della legge 11 novembre
1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi
di trasporto pubblico) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 17, 32
e 97 della Costituzione, sollevata dal giudice Conciliatore di
Roma con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23/04/91.
Aldo CORASANITI, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 07/05/91.