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La legge italiana sul fumo

....il punto essenziale....

Perché Leggi esplicite sul fumo?

Elenco Leggi principali

Il commento legale sul fumo nei luoghi di lavoro privati

Il commento sociale

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Tutta la 626

 

La legge italiana sul fumo

In Italia il diritto alla salute è sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Una buona fetta della popolazione asserisce che sigarette e sigari puzzano e infastidiscono, e, cosa ancora più rilevante, è universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica che il fumo passivo provoca gravissimi danni alla salute. La legislazione ha quindi imposto ai produttori di sigarette di stampare sui pacchetti in vendita diciture tipo "IL FUMO NUOCE ALLE PERSONE CHE VI CIRCONDANO", ha stabilito il divieto di fumare in molti luoghi pubblici come scuole, università, treni e traghetti comprese stazioni e sale d'attesa, uffici postali, locali dell'amministrazione pubblica, ospedali e ambulatori, cinema, teatri ecc... (Legge n.584 del 1975 e PDCM dell' 11 Dicembre 1995 : il riassunto lo fa la Circolare del Ministero della sanità (28 marzo 2001, n.4)), ed anche i divieti di vendita di sigarette ai minori di 16 anni (Regio decreto n.2316 del 1934) e di pubblicità.

Potrebbe sembrare, dopo un' analisi frettolosa, che nei luoghi non protetti da divieto esplicito, come per esempio uffici e aziende private, ristoranti e altro, si possa fumare "liberamente" ovunque o che la questione sia a completa discrezione delle direzioni di tali strutture. Ma un'altra legge prevede comunque che ogni datore di lavoro debba tutelare la salute dei suoi dipendenti (Decreto legislativo n.626 e sentenza della Corte Costituzionale n.399 che lo utilizza espressamente per il fumo passivo) e, -punto essenziale-, la Corte Costituzionale ha stabilito che in ogni caso "ove si profili una incompatibilità tra il diritto alla tutela della salute, costituzionalmente protetto, e i liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura costituzionale, deve ovviamente darsi prevalenza al primo".(sentenza della Corte Costituzionale n.399), in altre parole, che il diritto di respirare aria pulita viene prima del diritto di "godersi" una sigaretta.

Perchè Leggi esplicite sul fumo?

AriaPulita è dell'opinione che l' ignoranza in passato della nocività del tabacco unita a retaggi culturali sulla valenza sociale dell'atto di fumare fanno sì che oggi siano ancora necessarie leggi particolari per regolare questa materia, che dovrebbe invece essere trattata con ovvietà al pari di altre : quante persone avvertono la necessità di cartelli recanti la scritta
"VIETATO ACCENDERE FUOCHI"? ..............Nessuna!
I fuochi per fare belle grigliate miste o bruciare le sterpaglie non si accendono ovunque, ma in luoghi adatti e ventilati, malgrado i fumi da combustione di legno siano meno nocivi della nicotina, e non esistono associazioni di "accenditori cortesi di fuochi" che per questo si sentono discriminati.

Elenco Leggi principali

Articolo 2043 del Codice Civile Regola in generale il risarcimento danni
Regio decreto del 24 Dicembre 1934, n. 2316 - art.25

Vieta la vendita di sigarette e tabacco ai minori di 16 anni.

Articolo 41 della Costituzione Italiana Stabilisce limiti al commercio di prodotti che recano danno alla collettività o all'individuo.
Articolo 32 della Costituizione Italiana

Sancisce il diritto alla salute.

Legge n.584 dell' 11 novembre 1975

Vieta di fumare in determinati luoghi.

Sentenza della Corte Costituzionale n.202 del 1991 L'articolo 32 della costituzione e l'articolo 2043 del codice civile sono sufficenti a stabilire il diritto di risarcimento per i danni da fumo passivo.
Decreto legislativo n.626 del 19 settembre 1994 Il datore di lavoro ha l'obbligo di tutelare (in senso generale e dagli agenti cancerogeni) la salute dei suoi dipendenti. Vedi anche la Sentenza n.399 qui sotto riportata che utilizza questo decreto espressamente per il fumo passivo.
Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (PDCM) del 14 dicembre 1995

Interpretazione che estende in divieto stabilito dalla legge n. 584 ai locali dell'amministrazione pubblica e dei gestori dei servizi pubblici.

Sentenza della Corte Costituzionale n.399 dell' 11 dicembre 1996 Il datore di lavoro ha obbligo di tutelare i dipendenti specificatamente dal fumo passivo. Comunque e in ogni caso, il diritto di non inalare fumo passivo viene prima del diritto di fumare.
Circolare del ministero della sanità (28 Marzo 2001, n.4) Interpretazione ed applicazione delle leggi vigenti in materia di divieto di fumo.
Invito alle Istituzioni ad applicare e far appicare le leggi.
Elenco esemplificativo e dettagliato (al Marzo 2001) dei luoghi dove è espressamente vietato fumare

L' elenco non pretende di essere esaustivo.

Il commento legale sul fumo nei luoghi di lavoro privati

a cura dell' Avvocato Marco Ramadori

"Purtroppo il divieto di fumo, previsto dalla legge 584/75 e dalla successiva direttiva DPCM del 14 dicembre 1995, non si applica direttamente nei luoghi di lavoro privati. Non vi e' dunque una legge da invocare direttamente per far rispettare, in quei casi, il divieto di fumo.      

     Per i luoghi di lavoro privati vi e' pero' tutta una costruzione giurisprudenziale (che si basa sugli art. 32 e 41 della Costituzione e su varie leggi speciali, tra cui in particolare il DL 626/94) per cui sussiste comunque l'obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute dei propri dipendenti. In questi casi, non sussistendo pero' un divieto esplicito, e' purtroppo necessario rivolgersi all'autorita' giudiziaria, con la nomina di un avvocato di fiducia, sia per l'eventuale risarcimento dei danni ma anche, in via preventiva, per un'azione cautelare. In ogni caso, il dipendente privato puo' comunque mettere in mora l'azienda presso cui lavora (con raccomandata a.r.), pretendendo il rispetto del suo diritto a lavorare in un ambiente salubre.

     La soluzione al problema pertanto esiste ma, e' evidente, che puo' portare naturalmente a un elevato grado di conflittualita' nei rapporti con il datore di lavoro privato. Dal punto di vista giuridico, non vi e'  purtroppo altra soluzione."

AriaPulita sottolinea che non è da escludere, come in qualche felice caso è avvenuto, che il datore di lavoro sollecitato dalla richiesta scritta di un suo dipendente adotti spontaneamente i provvedimenti necessari alla tutela dal fumo passivo, divieti inclusi, senza la necessità di un procedimento giudiziario.

Una relazione dettagliata "Fumo nei luoghi di lavoro. Come difendersi" a cura dell'avv. Vincenzo Masullo, già direttore dell'ufficio legale del CODACONS e coordinatore del gruppo di studio legislativo di SITAB Società Italiana di TAbaccologia è scaricabile dalla sezione Documenti di GEA Progetto Salute.

Il commento sociale

a cura di AriaPulita

L' esperienza di ogni giorno insegna che ancora troppe persone non sanno come la legislazione italiana regola e risolve il conflitto di "interessi" fra fumatori e non fumatori, insomma, non conoscono i loro diritti...

La divulgazione delle informazioni sopra citate può portare nei casi migliori, all' affermazione di comune accordo fra cittadini responsabili, del diritto di respirare aria pulita, e comunque contribuisce alla promozione della cultura del rispetto reciproco anche in matera di fumo.

Links

GEA Progetto Salute , sezione Documenti

SITAB Società Italiana di TAbaccologia

lrtkkwedònqrhrihgkjgnkghjteiywtoitihjtjkjtrhgnjgòhwt,b,b,b,kykyktkfkjfjrjkeiosuoi diritti o chgkyihjtughrhfgegdgeà ***********xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

"Libertà"

da: Nuovissima Enciclopedia Illustrata- Istituto Editoriale Italiano

"Libertà" : "Capacità dell' uomo di autodeterminarsi".

"Libertà politica" : "votata dall'assemblea costituente francese 1789. <La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri; Quindi l'esercizio dei diritti naturali di ognuno non ha altri limiti che quelli che garantiscono agli altri membri della società il godimento dei medesimi diritti. La legge ha il diritto di proibire soltanto le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è proibito dalla legge non può essere impedito e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina>".


Articolo 32 della Costituzione Italiana

"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."


Articolo 41 della Costituzione Italiana

"L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali."


Articolo 2043 del Codice Civile

Art.2043
Risarcimento per fatto illecito

"Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno"


Circolare del Ministero della Sanità
(28 marzo 2001, n.4)

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85, del 11 aprile 2001.

nota: AriaPulia è fiera di osservare che la circolare viene emanata dal Ministero subito dopo la denuncia di due suoi membri fondatori (vedi HomePage).
riassunto: emanata nel 2001 dal ministro della sanità Veronesi, la circolare inizia con una considerazione sui danni del fumo attivo e passivo e sottolineatura dell' inosservanza delle leggi vigenti. Invita le ististituzioni a considerare il problema.
Prosegue con l'elenco e il commento delle suddette leggi e riporta l'
elenco esemplificativo e dettagliato dei luoghi dove è espressamente vietato fumare che ne consegue. Precisa quali sono le sanzioni amministrative per l'inosservanza dei divieti, le modalità e le autorità competenti per la loro rilevazione.

MINISTERO DELLA SANITA'
CIRCOLARE 28 marzo 2001, n.4

INTERPRETAZIONE ED APPLICAZIONE DELLE LEGGI VIGENTI IN MATERIA DI DIVIETO DI FUMO.

Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
Al Ministero degli affari esteri
Al Ministero delle politiche agricole e forestali
Al Ministero dell'ambiente
Al Ministero per i beni e le attivita' culturali
Al Ministero del commercio con l'estero
Al Ministero della difesa
Al Ministero delle finanze
Al Ministero della giustizia
Al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato
Al Ministero dell'interno
Al Ministero dei lavori pubblici
Al Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Al Ministero dei trasporti e della navigazione
Al Ministero delle comunicazioni
Al Ministero della pubblica istruzione
Al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica
Al Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica
Ai sig. ri presidenti delle giunte regionali
Ai sig. ri presidenti delle province di Trento e Bolzano
Ai sig. ri assessori regionali alla sanita'

Il fumo di sigaretta, com'e' noto dai dati riportati dalla letteratura scientifica mondiale, e' causa di una molteplicita' di patologie. Il tumore polmonare, ad esempio, in circa il 90% dei casi, e' causato dal umo di sigaretta. L'Organizzazione mondiale di sanita' ha piu' volte richiamato l'attenzione dei governi su quella che e' stata definita "nuova epidemia" (90 mila morti in Italia ogni anno, 3 milioni nel mondo).

Occorre da parte di tutti uno sforzo per porre rimedio ad una abitudine o, meglio, dipendenza che danneggia chi la pone in essere e chi, soprattutto, passivamente la subisce.

L'ordinamento giuridico italiano contiene varie norme dirette a tutelare la salute, come sancito all'art. 32 della Costituzione, dai rischi connessi all'esposizione anche passiva al fumo, alcune delle quali, vigenti gia' da un ventennio, non sono adeguatamente applicate, sia per una sottovalutazione dei rischi del fumo, sia a causa di dubbi interpretativi ed applicativi.

In relazione ai quesiti posti da vari soggetti interessati sull'applicazione della legge 11 novembre 1975, n. 584, e della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995, questo Ministero ritiene opportuno precisare quanto segue.

NORMATIVA VIGENTE IN TEMA DI LIMITAZIONE DI FUMO NEI LOCALI APERTI AL PUBBLICO


Regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316, art. 25.
"Testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternita' e dell'infanzia".
".... chi vende o somministra tabacco a persona minore degli anni 16 e' punito con la sanzione amministrativa fino a L. 40.000. E' vietato ai minori degli anni 16 di fumare in luogo pubblico sotto pena della sanzione amministrativa di L. 4.000."


Legge 11 novembre 1975, n. 584.
"Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico".

La legge persegue scopi di tutela della salute pubblica.
Consapevole dei danni che alla salute puo' arrecare il fumo c.d. passivo, il legislatore ha posto un generico ed assoluto divieto di fumo nei seguenti locali:

-corsie d'ospedale;
-aule delle scuole di ogni ordine e grado;
-autoveicoli di proprieta' dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone;
-metropolitane;
-sale d'attesa di stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime, aeroportuali;
-compartimenti ferroviari per non fumatori delle Ferrovie dello Stato e delle ferrovie date in concessione ai privati;
-compartimenti a cuccette e carrozze letto, durante il servizio di notte, se occupati da piu' di una persona;
-locali chiusi adibiti a pubblica riunione (ogni ambiente aperto al pubblico ove si eroga un servizio dell'amministrazione o per suo conto (vedi ultra, T.A.R. Lazio, sentenza n. 462/1995; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995);
-sale chiuse di cinema e teatro;
-sale chiuse da ballo;
-sale-corse;
-sale riunioni di accademie;
-musei;
-biblioteche;
-sale di lettura aperte al pubblico;
-pinacoteche e gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico.

Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995.
"Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi pubblici".
La direttiva e' stata emanata in seguito a due pronunce dei giudici amministrativi che hanno interpretato estensivamente le norme della legge n. 584/1975.
Essa ha quali suoi destinatari tutte le amministrazioni pubbliche.
Per amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono:

-tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, leregioni, le province, i comuni, le comunita' montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

La direttiva prevede che le amministrazioni pubbliche attuino il divieto di fumo comminato dalla legge n. 584 del 1975, esercitando poteri amministrativi regolamentari e disciplinari nonche' poteri di indirizzo, vigilanza e controllo sulle aziende ed istituzioni da esse dipendenti e sulle aziende private in concessione o in appalto.

La direttiva fornisce, inoltre, i seguenti criteri interpretativi per l'individuazione dei locali in cui si applica il divieto:

1. per locale aperto al pubblico si deve intendere quello in cui la generalita' degli amministrati e degli utenti accede, senza formalita' e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti;

2. tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla p.a. e dalle aziende pubbliche per esercizio delle proprie funzioni istituzionali, sempre che i locali siano aperti al pubblico;

3. tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, da privati esercenti servizi pubblici, sempre che i locali siano aperti al pubblico;

4. i luoghi indicati dall'art. 1 della legge 11 novembre 1975, n.584, anche se non si tratta di "locali aperti al pubblico" nel senso precisato dalla direttiva (es. aule scolastiche: fra le aule delle scuole di ogni ordine e grado si intendono ricomprese anche le aule universitarie).

La direttiva precisa, inoltre, che le amministrazioni e gli enti possono comunque, in virtu' della propria autonomia regolamentare e disciplinare, estendere il divieto a luoghi diversi da quelli previsti dalla legge n. 584 del 1975. Nei locali in cui si applica il divieto vige l'obbligo di apporre cartelli con indicazione del divieto di fumo.

Elenco esemplificativo dei locali in cui si applica il divieto di fumo.

Premesso che il divieto di fumo si applica nei luoghi nominativamente indicati nell'art. 1 della legge n. 584 del 1975, ancorche' non si tratti di locali "aperti al pubblico" nel senso di locali in cui una generalita' di amministrati e di utenti accede senza formalita' e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti, si fornisce un elenco esemplificativo dei locali che rientrano nella generica espressione usata dalla legge n. 584/1975, cosi' come interpretata dalla sentenza n. 462/1995 del T.A.R. del Lazio, "locali chiusi adibiti a pubblica riunione" in cui vige il divieto di fumo, allo scopo di agevolare la corretta applicazione della normativa:

-ospedali ed altre strutture sanitarie (corsie, corridoi, stanze per l'accettazione, sale d'aspetto e piu' in generale locali in cui gli utenti richiedono un servizio - pagamento ticket, richieste di analisi, ecc...);

-scuole di ogni ordine e grado, comprese le universita' (aule, corridoi, segreterie studenti, biblioteche, sale di lettura, bagni, ecc...);

-uffici degli enti territoriali quali regioni, province e comuni; uffici di altre amministrazioni a livello territoriale: uffici del catasto, uffici collocamento ecc..;

-uffici postali (locali di accesso agli sportelli, corridoi, ecc.);

-distretti militari ed altri uffici dell'amministrazione della difesa aperti al pubblico (uffici di certificazione, uffici informazioni e relazioni con il pubblico);

-uffici I.V.A., uffici del registro;

-uffici di prefetture, questure e commissariati, uffici giudiziari;

-uffici delle societa' erogatrici di servizi pubblici (compagnie telefoniche, societa' erogatrici di gas, corrente elettrica, ecc.);

-banche, relativamente ai locali in cui si svolgono servizi per conto della pubblica amministrazione (riscossione imposte e sanzioni pecuniarie, tesoreria per enti pubblici).

Competenze dei dirigenti in ordine all'applicazione del divieto di fumo.

I dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio ovvero il responsabile della struttura privata, sono tenuti ad individuare, con atto formale, i locali della struttura cui
sovrintendono, dove, ai sensi dei criteri prima citati, devono essere apposti i cartelli di divieto.

Spetta ad essi, quindi, predisporre o far predisporre i cartelli di divieto completi delle indicazioni fissate dalla direttiva:

-divieto di fumo;
-indicazione della norma che impone il divieto (legge n.584/1975);
-sanzioni applicabili;
-soggetto cui spetta vigilare sull'osservanza del divieto e ad accertare le infrazioni (nominativo del funzionario/i preposto/i dal dirigente, con atto formale, alla vigilanza sul divieto di fumo nonche' all'accertamento dell'infrazione nei locali ove e' posto il cartello di divieto, o, ove non si sia proceduto a nomina specifica, il nome del dirigente responsabile della struttura pubblica ai sensi di legge e dei regolamenti).

Spetta ai dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio, come anticipato, individuare in ciascuna di esse, con atto formale, i funzionari incaricati di vigilare sull'osservanza del divieto, di procedere alla contestazione delle infrazioni e di verbalizzarle.

Detti funzionari, ove non ricevano riscontro dell'avvenuto pagamento da parte del trasgressore, hanno l'obbligo di fare rapporto all'autorita' competente, che, come si e' detto, e', nella maggior parte dei casi, il prefetto, affinche' irroghi la sanzione. Nei locali privati, ove si svolge comunque un servizio per conto dell'amministrazione pubblica (concessionari di pubblici servizi) i soggetti obbligati a vigilare sul rispetto del divieto e ad accertarne la violazione sono coloro cui spetta per legge,regolamento o disposizioni d'autorita' assicurare l'ordine all'interno dei locali.

Nei locali privati nominativamente citati dall'art. 1 della legge n. 584 del 1975 (es. nei teatri, nei cinema, nelle sale da ballo, ecc.) tali figure si identificano nei conduttori dei locali individuati nella lettera b) dell'art. 1 della legge citata.

Sanzioni.
La sanzione amministrativa prevista dall'art. 7 della legge n. 584/1975 per il trasgressore e' quella del pagamento di una somma di danaro da L. 1.000 a L. 10.000.

Per effetto degli articoli 10 e 114 della legge n. 689/1981 le sanzioni amministrative non possono essere inferiori quanto al minimo a L. 4.000, e quanto al massimo a L. 10.000.

Per effetto dell'art. 96 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 "Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n.205", l'art. 10 della legge n. 689/1981 e' cosi' modificato: "La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a lire dodicimila e non superiore a lire ventimilioni. ... Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge,il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non puo'per ciascuna violazione superare il decuplo del minimo.".

L'art. 16 della legge n. 689/1981 ammette il pagamento in misura ridotta della sanzione se il versamento viene effettuato entro sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi e' stata dalla notificazione degli estremi della violazione.

In forza di tale norma il trasgressore puo' pagare 1/3 del massimo o il doppio del minimo se piu' favorevole. Nel caso della sanzione relativa al divieto di fumo, per quanto detto sopra, e' piu' favorevole il pagamento del doppio del minimo, pari a L. 24.000.

Va precisato in proposito che ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile, per incompatibilita', resta abrogato l'art. 8 della legge n. 584/1975 in quanto disciplina una materia successivamente modificata da apposita legge, appunto la legge n. 689/1981 e che altre norme dispongono il divieto di maneggiare danaro da parte dei pubblici funzionari (e quindi di riscuotere direttamente la sanzione dal trasgressore).

Per completare il quadro sanzionatorio occorre ricordare che l'art. 7 della legge n. 584/1975 prevede una sanzione anche per coloro che sono tenuti a far osservare il divieto e vengono meno a questo loro dovere; la sanzione per questi va da L. 20.000 a L. 100.000.



Applicazione della sanzione.

1) Come si accerta l'infrazione:

a) negli uffici pubblici:

il funzionario preposto alla vigilanza e all'accertamento dell'infrazione, deve essere dotato degli appositi moduli di contestazione. In caso di trasgressione, questi procedera' a compilare il modulo e a darne copia al trasgressore.

Trascorso inutilmente il termine per il pagamento in misura ridotta, sessanta giorni, il funzionario che ha accertato la violazione presentera' rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni (ex art. 17, legge n. 689/1981), al prefetto (competente ex art. 9, legge n. 584/1975).

b) nei locali condotti da privati:

il responsabile della struttura, ovvero il dipendente o il collaboratore da lui incaricato richiamera' i trasgressori all'osservanza del divieto e curera' che le infrazioni siano segnalate ai pubblici ufficiali ed agenti competenti a norma dell'art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (art. 4, lettera c) della direttiva 14 dicembre 1995).

2) Come si paga la contravvenzione:
il modulo di contestazione deve riportare le indicazioni sul pagamento della contravvenzione, ove non sia diversamente individuato da specifiche normative regionali si applica quanto segue:

a) si puo' pagare direttamente al concessionario del servizio di riscossione dell'ente in cui e' stata accertata l'infrazione, compilando apposito modulo.
Il codice tributo da indicare e' il 131 T, che corrisponde alla voce "sanzioni amministrative diverse da I.V.A." (V. decreto legislativo n. 237/1997 e relativo allegato).
Va pero' inserito anche il codice "ufficio". Si tratta di un codice che ogni amministrazione pubblica deve avere e che dovra' essere stampato sul verbale di contestazione.

b) si puo' delegare la propria banca al pagamento sempre utilizzando lo stesso modulo;

c) si puo' pagare presso gli uffici postali con bollettino di conto corrente postale intestato a servizio riscossione tributi -concessione di ....

Si rammenta che il funzionario che ha accertato l'infrazione non puo' ricevere direttamente il pagamento dal trasgressore ai sensi delle vigenti leggi.

Ai sensi dell'art. 18 della legge n. 689/1991, entro trenta giorni dalla data di contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all'autorita' competente a ricevereil rapporto scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorita'. L'autorita' competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti, se ritiene fondato l'accertamento, determina con sentenza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento; in caso contrario emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti. In base alla normativa vigente, a chi e' stata contestata la violazione e' data facolta' di ricorrere contro la stessa al giudice ordinario territorialmente competente, sia nel caso in cui non abbia fatto ricorso all'autorita' competente, sia qualora quest'ultima abbia emanato l'ingiunzione di pagamento della sanzione.

3) Autorita' competente a ricevere il rapporto.
Un aspetto problematico e' correlato alla identificazione della autorita' competente a ricevere il rapporto sulle violazioni accertate. Ove non sia diversamente individuato da specifiche normative regionali si applica quanto segue.

L'art. 9 della legge n. 584 del 1975, nella sua formulazione testuale, dispone che i soggetti legittimati ad accertare le infrazioni presentino il rapporto al prefetto.

Tale disposizione, tuttavia, deve oggi essere applicata in maniera conforme ai sopravvenuti indirizzi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1034 del 27 ottobre 1988.

Il giudice delle leggi ha, infatti, affermato che non spetta allo Stato indicare gli uffici competenti a ricevere il rapporto ex lege n. 689/1981 quando le violazioni siano attinenti a materie di competenza regionale.

In particolare, relativamente al divieto di fumo sui mezzi di trasporto tranviario e delle ferrovie in concessione, nonche' nei locali adibiti allo stesso servizio di trasporto, la sentenza ha precisato che, quando l'infrazione inerisce attivita' affidate, a titolo proprio o di delega alle regioni, a norma dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977, la competenza a ricevere il rapporto deve essere imputata agli organi dalle stesse individuati.

Lo stesso principio e' stato affermato dalla Corte con riguardo al divieto di fumo nei locali chiusi di cui all'art. 1 della legge n.584, "quando la proibizione di fumare si riferisce a luoghi, locali o mezzi sui quali si esercita la competenza regionale (come ad esempio, le strutture del Servizio sanitario nazionale, i musei e le biblioteche affidate alle regioni)...".

Ne consegue che il rapporto va presentato alla regione quando la violazione sia stata rilevata:

a) nell'ambito dei servizi di trasporto pubblico rientranti nella competenza regionale;
b) nell'ambito di luoghi, locali o mezzi sui quali le regioni esercitano competenze proprie o delegate;
c) nell'ambito degli uffici o delle strutture della regione o delle aziende o istituzioni da essa dipendenti.

Il rapporto va presentato all'ufficio provinciale della M.C.T.C. competente per territorio (art. 1, comma 1, voce Ministero dei trasporti, lettera a) del decreto del Presidente della Repubblica n.571/1982), quando le violazioni siano state rilevate nell'ambito dei servizi di trasporto pubblico rientranti nella competenza statale, ad esclusione delle violazioni accertate negli ambiti di competenza delle Ferrovie dello Stato per le quali occorre aver riguardo a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753.

Il rapporto va presentato all'ufficio di sanita' marittima aerea e di frontiera e all'ufficio veterinario di confine, di porto, aeroporto e di dogana interna quando le violazioni siano state rilevate negli ambiti di rispettiva competenza (art. 1, comma 1, voce Ministero della sanita', del decreto del Presidente della Repubblica n. 571/1982).

Il rapporto, infine, va presentato al prefetto in tutti i restanti casi.

Roma, 28 marzo 2001
Il Ministro della sanita': Veronesi


Regio decreto del 24 Dicembre 1934,

n.2316 - art.25

nota: testo parziale________________________________________________________

...

"Testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternita' e dell'infanzia".

".... chi vende o somministra tabacco a persona minore degli anni 16 e' punito con la sanzione amministrativa fino a L. 40.000. E' vietato ai minori degli anni 16 di fumare in luogo pubblico sotto pena della sanzione amministrativa di L. 4.000."


Legge n. 584 dell' 11 Novembre 1975

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 322, del 5 dicembre 1975.

riassunto: la legge elenca uno per uno i luoghi dove è vietato fumare (vedi articolo1), in quali casi e con che modalità possono sussistere eccezioni a tali divieti, come sono sanzionate le inosservanze delle disposizioni della medesima.
nota: vedi anche la Circolare del ministro della sanità Veronesi del 2001, che a partire da questa e altre leggi e decreti, fa l'elenco esemplificativo e dettagliato dei luoghi dove è espressamente vietato fumare.

Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Art. 1

E' vietato fumare:

a) nelle corsie degli ospedali; nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado; negli autoveicoli di proprietà dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone; nelle metropolitane; nelle sale di attesa delle stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime e aereoportuali; nei compartimenti ferroviari riservati ai non fumatori che devono essere posti in ogni convoglio viaggiatori delle ferrovie dello Stato e nei convogli viaggiatori delle ferrovie date in concessione ai privati; nei compartimenti a cuccette e in quelli delle carrozze letto, occupati da più di una persona, durante il servizio di notte;

b) nei locali chiusi che siano adibiti a pubblica riunione, nelle sale chiuse di spettacolo cinematografico o teatrale, nelle sale chiuse da ballo, nelle sale corse, nelle sale di riunione delle accademie, nei musei, nelle biblioteche e nelle sale di lettura aperte al pubblico, nelle pinacoteche e nelle gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico.

Art. 2

Nelle carrozze non riservate ai fumatori, le amministrazioni ferroviarie devono esporre, in posizione visibile, avvisi riportanti il divieto di fumare; nei quadri delle prescrizioni per il pubblico va riportata anche la norma con l'indicazione della sanzione comminata ai trasgressori. (--comma abrogato dall’art. 104, D.P.R. 11 luglio 1980, n. 753.--)

Per l'accertamento dell'infrazione e per la contestazione della contravvenzione restano ferme le norme vigenti in materia per le ferrovie dello Stato, per le ferrovie concesse all'industria privata e per gli altri mezzi di trasporto pubblico ai quali, in mancanza di disciplina specifica, si applicano le norme vigenti per le ferrovie dello Stato, in quanto compatibili. (--comma abrogato dall’art. 104, D.P.R. 11 luglio 1980, n. 753.--)

Coloro cui spetta per legge, regolamento o disposizioni di autorità assicurare l'ordine all'interno dei locali indicati al precedente articolo 1, lettere a) e b), nonchè i conduttori dei locali di cui alla lettera b) di tale articolo, curano l'osservanza del divieto, esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti la norma con l'indicazione della sanzione comminata ai trasgressori.

Art. 3

Il conduttore di uno dei locali indicati all'articolo 1, lettera b), può ottenere l'esenzione dell'osservanza del disposto dell'art.1 della presente legge ove installi un impianto di condizionamento dell'aria o un impianto di ventilazione rispettivamente corrispondenti alle caratteristiche di definizione e classificazione determinate dall'Ente nazionale italiano di unificazione (UNI).

A tal fine deve essere presentata al sindaco apposita domanda corredata del progetto dell'impianto di condizionamento contenente le caratteristiche tecniche di funzionamento e di installazione.

L'esenzione dall'osservanza del divieto di fumare è autorizzata dal sindaco, sentito l'ufficiale sanitario.

Il Ministro per la sanità dovrà emanare, entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione della presente legge, sentito il Consiglio superiore di sanità, disposizioni in ordine ai limiti di temperatura, umidità relativa, velocità e tempo di rinnovo dell'aria nei locali di cui all'articolo 1, lettera b), in base ai quali dovranno funzionare gli impianti di condizionamento o di ventilazione.

Art. 4

Le norme di cui all'articolo 2, terzo comma, della legge 14 agosto 1971, n. 819, sono estese, ai fini dell'acquisto e dell'installazione degli impianti di cui al primo comma dell'articolo 3, agli esercenti o proprietari delle sale cinematografiche appartenenti alle categorie del medio e piccolo esercizio cinematografico, ovunque ubicate e già in attività anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 5

Ferme le sanzioni pecunarie previste dalla presente legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare le misure di cui all'articolo 140 del regolamento per la esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, nei casi:

a) che si contravvenga alle norme di cui all'articolo 2, terzo comma;

b) che gli impianti di condizionamento non siano funzionanti o non siano condotti in maniera idonea o non siano perfettamente efficienti.

Indipendentemente dai provvedimenti adottati dall'autorità di pubblica sicurezza, l'autorizzazione alla esenzione dall'osservanza del divieto di fumare prevista all'articolo 3, terzo comma, e sospesa dall'autorità locale di pubblica sicurezza nei casi di cui alla lettera b) del precedente comma. La sospensione può essere revocata dal sindaco, sentito l'ufficiale sanitario, dopo la constatazione della precisa efficienza dell'impianto in esercizio, qualora domanda in tal senso venga presentata dal conduttore del locale.

Nei casi di ripetute violazioni delle disposizioni contenute nella lettera b) del primo comma del presente articolo o di violazioni particolarmente gravi, il sindaco può revocare, sentito l'ufficiale sanitario, l'autorizzazione all'esenzione dall'osservanza del divieto di fumare previsto dall'articolo 3, terzo comma.

Art. 6

Sono a carico del conduttore di uno dei locali indicati all'articolo 1, lettera b), tutte le spese necessarie per l'esecuzione dei controlli di cui al precedente articolo.

Art. 7

I trasgressori alle disposizioni dell'articolo 1 della presente legge sono soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 4.000 (--importo così modificato da successivi decreti--) a lire 10.000.

Le persone indicate al terzo comma dell'articolo 2, che non ottemperino alle disposizioni contenute in tale articolo, sono soggette al pagamento di una somma da lire ventimila a lire centomila; tale somma viene aumentata della metà nelle ipotesi contemplate all'articolo 5, prima comma, lettera b).

L'obbligazione di pagare le somme previste nella presente legge non è trasmissibile agli eredi.

Art. 8

La violazione, quando sia possibile, deve essere contestata immediatamente al trasgressore, il quale è ammesso a pagare il minimo della sanzione nelle mani di chi accerta la violazione.

Se non sia avvenuta la contestazione personale al trasgressore, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti in Italia entro il termine di trenta giorni dall'accertamento.

Qualora il pagamento non avvenga immediatamente, il trasgressore può provvedervi, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla data di contestazione o della notificazione, anche a mezzo di versamento in conto corrente postale nel luogo e con le modalità indicate nel verbale di contestazione della violazione.

A decorrere dal sedicesimo giorno e fino al sessantesimo giorno dalla contestazione o dalla notificazione, il trasgressore è ammesso al pagamento, con le modalità di cui al precedente comma, di una somma pari ad un terzo del massimo della sanzione.

Art. 9

I soggetti legittimati ad accertare le infrazioni, ai sensi delle norme richiamate dall'articolo 2 della presente legge, qualora non abbia avuto luogo il pagamento di cui al precedente articolo 8, presentano rapporto al prefetto con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni.

Il prefetto, se ritiene fondato l'accertamento, sentiti gli interessati ove questi ne facciano richiesta entro quindici giorni dalla scadenza del termine utile per l'oblazione, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione entro i limiti, minimo e massimo, stabiliti dalla legge e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese per le notificazioni, all'autore della violazione.

L'ingiunzione prefigge un termine per il pagamento stesso, che non può essere inferiore a trenta giorni e superiore a novanta giorni dalla notificazione.

L'ingiunzione costituisce titolo esecutivo.

Contro di essa gli interessati possono proporre azione davanti al pretore del luogo in cui è stata accertata la violazione entro il termine massimo prefisso per il pagamento.

L'esercizio dell'azione davanti al pretore non sospende l'esecuzione forzata sui beni di coloro contro i quali l'ingiunzione è stata emessa, salvo che l'autorità giudiziaria ritenga di disporre diversamente.

Nel procedimento di opposizione, l'opponente può stare in giudizio senza ministero di difensore in deroga a quanto disposto dall'articolo 82, secondo comma, del Codice di procedura civile. Gli atti di procedimento sono esenti da imposta di bollo e la relativa decisione non è soggetta alla formalità della registrazione.

L'opposizione si propone mediante ricorso. Il pretore fissa con decreto l'udienza di comparizione, da tenersi entro venti giorni, e dispone la notifica a cura della cancelleria del ricorso e del decreto al prefetto e ai soggetti interessati.

E' inappellabile la sentenza che decide la controversia.

Art. 10

Il diritto a riscuotere le somme, dovute per le violazioni indicate dalla presente legge, si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione.

Art. 11

Salvo quanto è disposto dall'articolo 9, decorso il termine prefisso per il pagamento, alla riscossione delle somme dovute, su richiesta della Amministrazione della sanità procede l'intendenza di finanza, mediante esecuzione forzata con la osservanza delle norme del testo unico approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sulla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici.

Art.12

La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.


Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 11, del 15 gennaio 1995.

riassunto: la legge da una interpretazione estensiva della legge n.584.
Estende il divieto di fumo a tutti i locali aperti al pubblico della pubblica amministrazione e dei gestori dei servizi pubblici. (
art.3)
nota: vedi anche la Circolare del ministro della sanità Veronesi del 2001, che a partire da questa direttiva e altre leggi e decreti, fa l'elenco esemplificativo e dettagliato dei luoghi dove è espressamente vietato fumare.

Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi pubblici

Il Presidente del Consiglio dei Ministri:

Vista la legge 11 novembre 1975, n. 584, concernente il divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico;
Visto l'art. del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, recante nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e degli altri servizi di trasporto; Visto l'art. 25 del regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316, concernente il testo unico delle leggi sulla protezione ed assistenza della maternità e dell'infanzia;
Vista la decisione del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I-bis, 17 marzo 1995, n. 462, che, confermando un proprio indirizzo giurisprudenziale, ha dato una interpretazione estensiva dell'art. 1, lettera b), della legge 11 novembre 1975, n. 584, nel senso che, ai fini della tutela dei non fumatori, debbano intendersi per <<locali chiusi adibiti a pubblica riunione>> non solo quelli di proprietà pubblica, ma anche quelli di proprietà privata, in relazione alla fruibilità degli stessi da parte di membri indifferenziati della collettività per il servizio che vi si rende o per l'attività che vi si svolge; Considerato che nella predetta decisione del tribunale amministrativo regionale del Lazio si rileva che dall'accoglimento del ricorso discende, per le amministrazioni interessate, l'obbligo di provvedere concretamente in maniera satisfattiva dell'interesse fatto valere;
Vista l'ordinanza 14 maggio 1995, n. 687, della quarta sezione del Consiglio di Stato, con la quale è stata rigettata la domanda di sospensione cautelare della decisione sopra citata, con l'argomentazione che <<l'obbligo imposto alle amministrazioni intimate dalla sentenza appellata deve intendersi limitato all'adozione dei provvedimenti necessari ad assicurare il divieto di fumo negli ambienti chiusi, di proprietà della pubblica amministrazione, e negli altri locali pubblici o parti al pubblico nei quali i cittadini debbono recarsi in funzione dell'utenza di servizi resi dall'amministrazione>>; che <<restano estranei all'ambito della efficacia oggettiva della sentenza appellata i locali di proprietà pubblica non aperti al pubblico e quelli di proprietà privata nei quali non vengono erogati servizi dell'amministrazione>> e che <<il suddetto obbligo deve ritenersi operativo nei confronti dei soli ambienti con riguardo ai quali le singole amministrazioni intimate (Ministero della sanità e, comuni di Roma, Torino, Genova, Napoli e Bari) sono titolari di specifici e tipici poteri di ordinanza o di direttiva intesi ad assicurare l'osservanza del divieto di cui all'art. 1 della legge n. 584 del 1975>>;

Ritenuta peraltro l'opportunità, nel dare doveroso adempimento a quanto prescritto dalla giurisdizione amministrativa, di estenderne gli effetti oltre i limiti soggettivi del rapporto processuale, vale a dire non solo nei confronti delle amministrazioni parte in giudizio (Ministero della sanità e, comuni di Roma, Torino, Genova, Napoli e Bari) ma nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni naturali destinatarie dei poteri di direttiva del Governo, nonchè, per il tramite di queste, nei confronti dei privati esercenti pubblici servizi a titolo di concessione o appalto o convenzione o accreditamento; Visti gli articoli 2, comma 3, lettera d), e 5, comma 2, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Sentito il Consiglio dei Ministri nella riunione del 14 dicembre 1995;
Sulla proposta del Ministro della sanità;

Adotta la seguente direttiva:

Articolo 1

La presente direttiva, emessa ai sensi dell'art. 5, comma 2, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sarà osservato dalle amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e dalle istituzioni educative; dalle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo; dalle istituzioni universitarie; dagli enti locali e dai loro consorzi ed associazioni; dagli enti pubblici non economici nazionali e locali; dalle aziende e dagli enti del servizio sanitario nazionale.

Articolo 2

Le amministrazioni e gli enti pubblici destinatari del presente atto eserciteranno i loro poteri amministrativi, regolamentari e disciplinari, nell'ambito dei propri uffici e delle proprie strutture, nonchè i loro poteri di indirizzo, di vigilanza e di controllo sulle aziende ed istituzioni da esse dipendenti e sulle aziende private esercenti servizi pubblici, anche sanitari, in regime di concessione o di appalto, ovvero di convenzione o accreditamento, affinchè sia data piena applicazione al divieto di fumo in luoghi determinati, di cui alla legge 11 novembre 1975, n. 584, secondo l'interpretazione recepita nelle pronunce della magistratura amministrativa citate nel preambolo del presente atto.

Articolo 3

In particolare saranno osservati i seguenti criteri interpretativi:
a) il divieto va applicato in tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla pubblica amministrazione e dalle aziende pubbliche per l'esercizio di proprie funzioni istituzionali, nonchè dai privati esercenti servizi pubblici per l'esercizio delle relative attività, semprechè si tratti -- in entrambi i casi -- di locali che in ragione di tali funzioni sono aperti al pubblico;
b) per locale <<aperto al pubblico>> s'intende quello al quale la generalità degli amministrati e degli utenti accede, senza formalità e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti;
c) il divieto va comunque applicato nei luoghi nominativamente indicati nell'art. 1 della legge 11 novembre 1975, n. 584, ancorchè non si tratti di locali <<aperti al pubblico>> nel senso sopra precisato (esempio: corsie di ospedali, aule scolastiche); a questi fini s'intende che fra le aule delle scuole di ogni ordine e grado sono comprese quelle universitarie;
d) resta salva l'autonomia regolamentare e disciplinare delle amministrazioni e degli enti in ordine all'eventuale estensione del divieto a luoghi diversi da quelli contemplati dalla legge 11 novembre 1975, n. 584, con gli strumenti e gli effetti propri dei rispettivi ordinamenti.

Articolo 4

Per l'attuazione delle presenti direttive saranno curati i seguenti adempimenti: a) nei locali nei quali si applica il divieto di fumo saranno apposti cartelli con l'indicazione del divieto stesso nonchè l'indicazione della relativa norma, delle sanzioni applicabili, del soggetto cui spetta vigilare sull'osservanza del divieto e dell'autorità cui compete accertare le infrazioni; b) i dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio individueranno in ciascuna di esse uno o più funzionari incaricati di procedere alla contestazione di eventuali infrazioni, di verbalizzarle e di riferirne all'autorità competente, come previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689; c) per i locali condotto da soggetti privati, il responsabile della struttura, ovvero il dipendente o collaboratore da lui incaricato, richiamerà i trasgressori all'osservanza del divieto, e curerà che le infrazioni siano segnalate ai pubblici ufficiali ed agenti competenti a norma dell'art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689; d) a cura dei prefetti saranno rilevati i dati in merito all'osservanza, nelle diverse amministrazioni, delle norme sul divieto di fumare e sul numero delle infrazioni annualmente contestate; i dati sono comunicati al Ministro della sanità, che ne riferisce in Parlamento.


Decreto legislativo n.626 del 19 settembre 1994

Norme per l’igiene e la sicurezza del lavoro

pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.265 del 12 novembre 1994.

nota: Il decreto impone al datore di lavoro di adottare misure per la protezione della salute dei lavoratori, facendo anche esplicito rieferimento agli agenti cancerogeni.

Ne riportiamo solo alcune parti: l' articolo 3 (misure generali di tutela) e gli articoli 64 e 65 che ricorrono nelle citazioni legislative in materia di fumo).

Per il testo completo: Decreto 626

...

Art. 3

Misure generali di tutela.

1. Le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono:

a) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
b) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro riduzione al minimo;
c) riduzione dei rischi alla fonte;
d) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro;
e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
f) rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;
g) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
h) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
i) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui luoghi di lavoro;
l) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici;
m) allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti la sua persona;
n) misure igieniche;
o) misure di protezione collettiva ed individuale;
p) misure di emergenza da attuare in caso di prono soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato;
q) uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
r) regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti;
s) informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro;
t) istruzioni adeguate ai lavoratori.

2. Le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.

...

Art. 64

Misure tecniche, organizzative, procedurali.

1. Il datore di lavoro:

a) assicura, applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle varie operazioni lavorative sono impiegati quantitativi di agenti cancerogeni non superiori alle necessità delle lavorazioni e che gli agenti cancerogeni in attesa di impiego, in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori alle necessità predette;
b) limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i segnali "vietato fumare", ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree è fatto divieto di fumare;
c) progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni nell'aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l'eliminazione degli agenti cancerogeni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell'art. 4, comma 5, lettera n). L'ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato sistema di ventilazione generale;
d) provvede alla misurazione di agenti cancerogeni per verificare l'efficacia delle misure di cui alla lettera c) e per individuare precocemente le esposizioni anomale causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con metodi di campionatura e di misurazione conformi alle indicazioni dell'allegato VIII del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
e) provvede alla regolare e sistematica pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti;
f) elabora procedure per i casi di emergenza che possono comportare esposizioni elevate;
g) assicura che gli agenti cancerogeni sono conservati, manipolati, trasportati in condizioni di sicurezza;
h) assicura che la raccolta e l'immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni, avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile;
i) dispone, su conforme parere del medico competente, misure protettive particolari per quelle categorie di lavoratori per i quali l'esposizione a taluni agenti cancerogeni presenta rischi particolarmente elevati.

Art. 65

Misure igieniche.

1. Il datore di lavoro:

a) assicura che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati ed adeguati;
b) dispone che i lavoratori abbiano in dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti separati dagli abiti civili;
c) provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi, prima di ogni nuova utilizzazione.

2. È vietato assumere cibi e bevande o fumare nelle zone di lavoro di cui all'art. 64, lettera b).


Sentenza della Corte Costituzionale n. 399

dell' 11 dicembre 1996

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 1996.

nota: La sentenza stabilisce che il datore di lavoro deve tutelare i suoi dipendenti dal fumo passivo (vedi il brano sottolineato della sentenza) e che comunque il diritto di non inalare fumo passivo viene sempre prima del diritto di fumare (vedi il brano2 sottolineato della sentenza).
riassunto: la corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune norme in materia di fumo, che secondo i querelanti sono incostituzionali perchè non sufficenti a garantire la salute dei cittadini. La corte dichiara che non sono incostituzionali, perchè comunque le leggi esistenti se ben interpretate, tutelano già dal fumo passivo.

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Richiamo alla costante giurisprudenza della Corte in materia (sentenze nn. 218/1994, 202/1991, 307 e 455 del 1990, 559/1987 e 184/1986) - assoluta esigenza del dovere di non ledere, né porre a rischio, con comportamenti dannosi, la salute altrui costituente bene primario e diritto fondamentale della persona e bisognevole pertanto di piena ed esaustiva tutela, sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato - diritto del lavoratore a chiamare il datore di lavoro dinanzi al giudice per l’accertamento di eventuali responsabilità nel predisporre gli adeguati strumenti di tutela, con relativo dovere e responsabilità da parte dei datori di lavoro, di attivarsi per verificare che la salute dei lavoratori sia adeguatamente tutelata - insussistenza di violazione di norma costituzionali alla luce di una corretta interpretazione del sistema delle norme positive vigenti già idonee a realizzare la protezione dal fumo passivo in modo conforme al principio costituzionale - non fondatezza.(Legge 11 novembre 1975, n. 584, artt. 1, lett. A); d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303, artt. 9 e 14, modificati dall’art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626; d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 64, lett. b) e 65, comma 2).(Cost., artt. 3 e 32).

La Corte Costituzionale composta dai signori:

Presidente: dott. Renato Granata;

Giudici: prof. Giuliano Vassalli, prof. Francesco Guizzi, prof. Cesare Mirabelli, prof. Fernando Santosuosso, avv. Massimo Vari, dott. Cesare Ruperto, dott. Riccardo Chieppa, prof. Gustavo Zagrebelsky, prof. Valerio Onida, prof. Carlo Mezzanotte, avv. Fernanda Contri, prof. Guido Neppi Modona, prof. Piero Alberto Capotosti;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, lettera a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, secondo comma, del citato decreto n. 626 del 1994, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1996 dal tribunale di Torino, nel procedimento civile vertente tra Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a. e Abronio Susanna e altri, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1996;

visti gli atti di costituzione dell'Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a. e di Vergnano Claudio;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1996 il giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avv.to Paolo Tosi per Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di una controversia di lavoro promossa da oltre 300 dipendenti nei confronti dell'Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a., finalizzato a ottenere provvedimenti idonei a tutelare la salute dei non fumatori contro i danni del c.d. fumo «passivo», il tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, degli artt. 1, lettera a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, comma 2, del citato decreto n. 626 del 1994.

Nell'ampia ordinanza di rimessione il giudice a quo, dopo aver premesso una serie di osservazioni in merito all'accertata nocività del fumo passivo – da ritenersi ormai pacificamente dimostrata sulla base dei numerosi studi scientifici sull'argomento – rileva che la normativa vigente, nell'indicare i luoghi nei quali il fumo è vietato, irragionevolmente non ha incluso nell'elenco i luoghi di lavoro in quanto tali, bensì soltanto in relazione a talune situazioni marginali; e i numerosi progetti e disegni di legge presentati in Parlamento, finalizzati all'estensione del divieto di fumare in altri luoghi e specialmente a quelli di lavoro, non hanno avuto alcun seguito.

Tanto premesso, il Tribunale rileva che, pur potendo l'art. 2087 del codice civile considerarsi una norma «aperta», sulla quale fondare il dovere del datore di lavoro di adottare ogni misura idonea a tutelare la salute del lavoratore, non è consentito, sulla base di tale norma, un legittimo divieto di fumare disposto dal datore di lavoro di fronte a locali dell'azienda inquinati dal fumo passivo; e ciò perché il d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, nel dettare regole per la tutela dei lavoratori, ha previsto che l'obbligo di adottare misure specifiche per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo valga soltanto per i locali di riposo e con riguardo ad alcune lavorazioni particolarmente esposte a rischio cancerogeno.

Ne consegue che, non essendo più possibile una lettura estensiva delle norme vigenti, la tutela apprestata dal legislatore a protezione della salute dei lavoratori non fumatori deve ritenersi, allo stato, del tutto insufficiente, e perciò in contrasto con l'art. 32 della Costituzione.

Il giudice a quo mostra piena consapevolezza del fatto che questa Corte, con la sentenza n. 202 del 1991, dichiarando inammissibile una questione non molto diversa da quella attuale, ebbe a rivolgere al legislatore un monito, rimasto inascoltato, affinché apprestasse una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni del fumo passivo. Questa situazione, unita all'impossibilità di un'interpretazione estensiva delle norme vigenti – accolta invece dal giudice di primo grado – e alla diversità della domanda giudiziale – in questo caso non risarcitoria, ma di prevenzione dei danni –, induce il tribunale di Torino a sottoporre nuovamente la questione all'esame della Corte, chiedendo che la normativa sopra richiamata venga dichiarata incostituzionale nella parte in cui non prevede il divieto di fumare nei luoghi di lavoro chiusi.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito l'Istituto bancario San Paolo di Torino s.p.a., chiedendo che la questione venga dichiarata infondata. In prossimità dell'udienza, la difesa dell'Istituto ha presentato una memoria, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni già formulate.

Preliminarmente, la difesa della banca ha osservato che le norme della legge n. 584 del 1975 che regolano il divieto di fumo non sono poste a tutela dei singoli in quanto lavoratori, bensì in quanto soggetti che, per le più svariate motivazioni (studio, salute, divertimento, ecc.), si trovano a soggiornare per un certo periodo in luoghi chiusi; ne conseguirebbe che, mancando ogni collegamento tra le ipotesi previste dal legislatore e quella di cui si lamenta l'omissione (luoghi di lavoro chiusi), la pretesa violazione del principio di ragionevolezza sarebbe comunque insussistente.

L'Istituto osserva poi che, come già rilevato dalla Corte nella sentenza n. 202 del 1991, la pronuncia richiesta dal Tribunale rimettente è inammissibile sia perché non sussiste una soluzione costituzionalmente necessitata, sia perché una pronuncia estensiva del divieto di fumare finirebbe col creare una nuova ipotesi di reato.

3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito anche Vergnano Claudio, con atto depositato fuori termine.

Considerato in diritto

1. - Il tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, degli artt. 1, lettera a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, comma 2, del citato decreto n. 626 del

1994, nella parte in cui non prevedono il divieto di fumare nei luoghi di lavoro chiusi.

2. - Occorre premettere il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986) secondo cui la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona e impone piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato.

È stato pure ripetutamente affermato che la tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale. E tale tutela implica non solo situazioni attive di pretesa, ma comprende – oltre che misure di prevenzione – anche il dovere di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui. Pertanto, ove si profili una incompatibilità tra il diritto alla tutela della salute, costituzionalmente protetto, e i liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura costituzionale, deve ovviamente darsi prevalenza al primo.

Una questione analoga a quella presente è stata già sottoposta a scrutinio di costituzionalità; in quella occasione la Corte – pur dando per pacifica la nocività del c.d. fumo passivo – è pervenuta a una pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 202 del 1991), soprattutto per motivi di non rilevanza nel giudizio a quo. Non ha mancato, tuttavia, di affermare la legittimità (ex art. 32 della Costituzione e art. 2043 del codice civile) di una richiesta diretta al risarcimento dei danni per detta causa; e, nel contempo, ha rivolto al legislatore l'invito a intervenire per la «necessità di apprestare una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche c.d. passivo, trattandosi di un bene fondamentale e primario costituzionalmente garantito».

3. - Il tribunale propone ora la questione di legittimità non ai fini del divieto di fumo nei locali considerati nella sentenza n. 202 del 1991, ma con riguardo ai pregiudizi derivanti dal fumo passivo nei locali di lavoro chiusi, per considerazioni specificamente relative a questi luoghi. Avverte il rimettente che «non viene qui svolta domanda di risarcimento, bensì un'azione in via preventiva per l'adozione di misure atte a evitare la verificazione di un danno». Rileva inoltre che, successivamente alla sentenza n. 202 del 1991, il legislatore, in attuazione delle direttive comunitarie, ha disciplinato (nel decreto legislativo n. 626 del 1994) la materia concernente la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, senza peraltro introdurre il divieto assoluto e generalizzato di fumare in tutti i luoghi di lavoro; divieto che dovrebbe invece discendere necessariamente dall'esigenza, prevista dalla Costituzione, della efficace protezione della salute, sul presupposto che la vigente normativa non contiene altri strumenti idonei a evitare il pregiudizio derivante ai lavoratori dal fumo passivo nei locali chiusi.

La legge – lamenta in proposito – mentre esige espressamente la «protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo» in relazione ad alcuni locali (corsie di ospedali, aule scolastiche, mezzi di trasporto pubblico), per quelli «adibiti a pubblica riunione», nonché in una serie di «locali di divertimento» (e la direttiva 14 dicembre 1995 della Presidenza del Consiglio estende questi divieti a tutti i locali aperti al pubblico appartenenti alla pubblica amministrazione, alle aziende pubbliche e ai privati esercenti pubblici servizi), non prevede analoghi divieti per i luoghi di lavoro, dove una molteplicità di dipendenti sono tenuti a permanere per lungo tempo.

Parimenti irragionevole dovrebbe ritenersi che tali divieti siano previsti nell'ambito delle aziende solo per i locali di riposo o – come accettato anche dall'Istituto bancario – per quelli di comune frequentazione (bar, mense, ecc.) da parte di lavoratori e non invece per quelli dove le stesse persone devono trattenersi obbligatoriamente per prestare in piena efficienza le loro energie lavorative.

4. - L'ordinanza di rimessione, come si è detto, muove da due presupposti: che, avendo la legge direttamente previsto il divieto di fumare in determinati luoghi, tale divieto non possa essere disposto dal datore di lavoro in altri luoghi o circostanze; e che il vigente sistema normativo non offre comunque altri strumenti idonei a tutelare la salute dei lavoratori così come voluto dalla Costituzione. Senonché, tali presupposti sono erronei, dal momento che, pur non essendo ravvisabile nel diritto positivo un divieto assoluto e generalizzato di fumare in ogni luogo di lavoro chiuso, è anche vero che nell'ordinamento già esistono disposizioni intese a proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo.

Se alcune norme prescrivono legislativamente il divieto assoluto di fumare in speciali ipotesi, ciò non esclude che da altre disposizioni discenda la legittimità di analogo divieto con riguardo a diversi luoghi e secondo particolari circostanze concrete; è inesatto ritenere, comunque, che altri rimedi voluti dal vigente sistema normativo siano inidonei alla tutela della salute dei lavoratori anche rispetto ai rischi del fumo passivo. E invero, non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) a imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori; numerose altre disposizioni, tra cui la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 626 del 1994, assumono in proposito una valenza decisiva. L'art. 2087 del codice civile stabilisce che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La Cassazione (sentenza n. 5048 del 1988) ha ritenuto che tale disposizione «come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica» e pertanto «vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, e ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima di adeguamento di essa al caso concreto».

Analogamente gli artt. 1, 4 e 31 del decreto legislativo del 19 settembre 1994, n. 626, dispongono che il datore di lavoro, «in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva», debba valutare, anche «nella sistemazione dei luoghi di lavoro», i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, «adottare le misure necessarie», e «aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza», riaffermando l'obbligo di «adeguare i luoghi di lavoro alle prescrizioni di sicurezza e di salute».

Con più specifico riferimento alla «salubrità dell'aria» nei locali di lavoro chiusi, l'art. 9 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303, modificato dall'art. 16 del d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242, stabilisce la necessità che i lavoratori «dispongano di aria salubre in quantità sufficiente, anche ottenuta con impianti di aerazione»; impianti che peraltro devono essere sempre mantenuti in efficienza e «devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiose». E all'ultimo comma di detto art. 9 si soggiunge «che qualsiasi sedimento che potrebbe comportare un pericolo per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente». A questi precisi e dettagliati doveri del datore di lavoro fa riscontro il diritto dei lavoratori (art. 9 della legge 20 maggio 1970, n. 300) di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. Coerentemente il d.lgs. n. 626 del 1994 prevede (art. 18) anche la figura del rappresentante dei lavoratori che ha tra l'altro il compito (art. 19, lett. h) di promuovere l'elaborazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori. Costoro hanno, inoltre, la possibilità di chiamare il datore di lavoro dinanzi al giudice per l'accertamento di eventuali responsabilità nel predisporre gli adeguati strumenti di tutela.

5. - Nel sottolineare l'ampiezza dei doveri e delle responsabilità (cui corrispondono i relativi poteri organizzativi) che le norme richiamate attribuiscono ai datori di lavoro, la Corte osserva che, in adempimento di queste disposizioni, di natura non solo programmatica ma precettiva, costoro devono attivarsi per verificare che in concreto la salute dei lavoratori sia adeguatamente tutelata. Non è dato ovviamente precisare in questa sede le varie misure possibili e le modalità di detti interventi (dislocazioni, orari, impianti, fino a eventuali divieti), dal momento che ciò discende, oltre che dal rispetto delle prescrizioni legislative, dalle diligenti valutazioni del datore di lavoro in corrispondenza alle diverse circostanze in cui viene prestata l'attività lavorativa, nonché dal controllo dei lavoratori, degli ispettori e del giudice del lavoro.

Alla Corte compete rilevare, invece, che il dovere di vigilare e di provvedere adeguatamente, cui fa riscontro il diritto dei lavoratori (art. 9 dello Statuto, e art. 19 del d.lgs. n. 626 del 1994), è già desumibile dalle norme positive, lette come attuazione dei principi costituzionali di tutela della salute. E in tale quadro il datore di lavoro troverà le misure organizzative sufficienti a conseguire il fine della protezione dal fumo passivo in modo conforme al principio costituzionale dell'art. 32. Il rispetto di questo principio nella presente questione va inteso nel senso che la tutela preventiva dei non fumatori nei luoghi di lavoro può ritenersi soddisfatta quando, mediante una serie di misure adottate secondo le diverse circostanze, il rischio derivante dal fumo passivo, se non eliminato, sia ridotto a una soglia talmente bassa da far ragionevolmente escludere che la loro salute sia messa a repentaglio.

6. - Una volta accertato che la normativa in vigore prevede strumenti idonei a un’adeguata protezione della salute dei lavoratori anche dal pericolo del fumo passivo, resta assorbito l'esame della richiesta di un intervento finalizzato all'estensione del divieto assoluto e generalizzato di fumare in tutti i luoghi di lavoro chiusi; intervento che il giudice rimettente aveva ritenuto come l'unico mezzo efficace per la protezione della salute secondo l'art. 32 della Costituzione. Se al legislatore – per l'invito già a lui rivolto – resta il compito di riconsiderare l'intera materia per migliorare la disciplina in tema di tutela della salute dei cittadini, e in particolare la prevenzione dai danni cagionati dal fumo passivo, deve tuttavia concludersi che, riguardo ai luoghi di lavoro, la corretta interpretazione del sistema vigente non consente di ritenere sussistente la violazione delle norme costituzionali invocate dal giudice a quo.

Per questi motivi

La Corte Costituzionale

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, lettera a), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro), nonché 64, lettera b) e 65, secondo comma, del citato decreto n. 626 del 1994, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal tribunale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1996.

Sentenza della Corte Costituzionale n. 202

del 1991

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49, prima serie speciale, 1990.

nota: La sentenza è del 1991.Il decreto legislativo 626 non era ancora stato emanato.
riassunto: la corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge 584, perchè non prevede il divieto di fumo in alcuni luoghi, nei quali quindi la salute non risulta tutelata, sollevata dal giudice conciliatore durante un procedimento per risarcimento danni da fumo passivo. La corte dichiara che la incostituzionalità non sussiste.L'articolo 32 della costituzione e l'articolo 2043 del codice civile sono sufficenti a stabilire il diritto dei querenati di essere risarciti dei danni subiti a causa del fumo passivo.

SENTENZA N.202
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Dott. Aldo CORASANITI,
Giudici
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. a e b, della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), promosso con ordinanza emessa l'8 settembre 1990 dal giudice Conciliatore di Roma nel procedimento civile vertente tra De Russis Vito Nicola ed altro e U.S.L. RM 4 ed altri iscritta al n. 718 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visti gli atti di costituzione di De Russis Vito Nicola e di Candidi Franco;
udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;
uditi gli avvocati Carlo Rienzi, Roberto Canestrelli Nicolo Paoletti per De Russis Vito Nicola nonche Paolo Ferrari e Carlo Mellanotte per Candidi Franco.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio civile promosso da Vito De Russis e Francesco Spiga, danneggiati dal cd. fumo passivo, nel pronto soccorso di un ospedale, nell'ufficio postale, e in un ristorante, nei confronti del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, del direttore dell'Ufficio postale di Roma, via Collatina, n. 78, del titolare del ristorante, nonché della U.S.L. RM 4, onde ottenere il risarcimento dei danni subiti, il giudice Conciliatore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a, della legge 11 novembre 1975, n. 584, nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti, in quanto sussisterebbe una irragionevole differenziazione tra locali pur in presenza di una identica necessità di protezione e si discriminerebbero altresì i soggetti costretti, per necessità di cure o per motivi di lavoro, a permanere nei diversi locali dell'ospedale, bisognevoli di una stessa incisiva tutela (violazione dei principi di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione e di tutela della salute ex art. 32 della Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a, nella parte in cui prevede il divieto di fumare "nei locali destinati alla istruzione e nei vari luoghi frequentati dagli utenti di diversi servizi di trasporto, consentendosi, invece, la diffusione degli effetti del fumo, nocivi alla salute, nei locali nei quali si eroga il servizio pubblico postale; gli utenti di quest'ultirno sarebbero illegittimamente discriminati rispetto agli utenti degli altri servizi pubblici protetti (sanità, istruzione, trasporto, ecc.), essendo pari la loro rilevanza costituzionale (ulteriore violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
c) dell'art. 1; lett. b, nella parte in cui non prevede il divieto di fumare all'interno dei ristoranti.Sussisterebbe una immotivata disparità di trattamento e di tutela tra i frequentatori di sale da ballo e di sale corse, tutelati dal fumo passivo, e coloro che si recano nei ristoranti, non affatto tutelati (violazione degli arti. 3 e 32 della Costituzione). Inoltre, la suddetta disposizione, interpretata secondo il parere del Consiglio di Stato n. 540 dei 1976, nel senso della applicabilità ai soli casi in cui vi sia un incontro di più persone in luogo pubblico per un tempo definito e per uno scopo consentito, importerebbe violazione degli arti. 2 e 3 della Costituzione che garantiscono la realizzazione dell'individuo anche in aggregati sociali, quali sono favoriti da tutti i luoghi di svago e di riposo dei cittadini e dei lavoratori, nonché dell'art. 17 della Costituzione che riconosce a tutti i cittadini l'identico diritto di riunirsi pacificamente, anche a seguito e per effetto della predisposizione di un medesimo regime giuridico per tutte le forme attraverso le quali tale diritto si realizza.
In punto di rilevanza, il Conciliatore ha osservato che l'esame e la decisione delle proposte domande risarcitorie sarebbero precluse dalle disposizioni censurate che considerano lecito fumare nei locali chiusi nei quali si è verificata la situazione dannosa subita dagli attori.

2.- L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
2.1- Nel giudizio si sono costituiti soltanto il De Russis e il Candidi.
2.2- La difesa del Candidi ha concluso per la declaratoria di inammissibilità della questione o, in subordine, per la infondatezza.
Ha osservato che la proposta questione è irrilevante, in quanto l'azione risarcitoria proposta nel giudizio a quo si fonda direttamente sul combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione e 2043 del codice civile, mentre la legge n. 584 dei 1975, si limita a prevedere, in caso di violazione del divieto di fumare, l'applicazione di sanzioni amministrative.
Non sarebbe stata valutata l'effettiva sussistenza dei pregiudizio alla salute lamentato dagli interessati.
La questione sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, non essendo stati convenuti in giudizio gli autori del fatto illecito, cioè i fumatori.
Nel merito, la questione sarebbe infondata perché:
a) postula l'emanazione di una sentenza additiva in una materia nella quale si profila una pluralità di soluzioni derivanti da varie valutazioni possibili;
b) si assume a tertium comparationis il divieto secondo una norma derogatoria della libertà di fumare;
c) la citata legge non concerne in modo alcuno gli aspetti risarcitori connessi all'eventuale danno alla salute per esposizione al fumo cosiddetto "passivo";
d) non è chiarita la ragione per cui le limitazioni del divieto possano impingere sul diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente ovvero impedire il pieno sviluppo della persona umana.
Nella memoria, la difesa del De Russis ha osservato che sussiste un nesso di causalità tra la esposizione al fumo degli attori e la lesione del loro diritto alla salute; che vige nell'ordinamento il principio di ordine generale secondo cui i gestori dei locali aperti al pubblico, che si frequentano per necessità o per opportunità e ai quali si accede liberamente, devono garantire condizioni igienico-sanitarie ottimali, mentre la legge impugnata, non prevedendo il divieto di fumare in detti locali, rende lecita la loro condotta; che la questione sollevata sarebbe inammissibile solo se nel nostro ordinamento dal principio costituzionale della tutela della salute potesse derivare il divieto di fumare nei detti locali, indipendentemente da una apposita previsione normativa; mentre, il legislatore a tutela dei malati e dei giovani, ha previsto il divieto di fumare solo in determinati locali; che le finalità perseguite impongono una interpretazione logica e razionale della disposizione secondo cui il divieto di fumare "nelle corsie degli ospedali esso vale per tutti gli ambienti non può essere ritenuta tassativa sancisce il divieto di fumare solo i servizi sanitari, scolastici e il divieto dovrebbe riguardare tutti i locali in cui si erogano servizi pubblici, tra cui quello postale.
Per quanto riguarda il divieto di fumare nei ristoranti, la difesa del De Russis ha osservato che l'interesse protetto dal legislatore importa che per riunione pubblica si debba intendere riunione di più persone in un luogo aperto al pubblico qualunque sia lo scopo della riunione stessa; che la discrezionalità del legislatore sussiste solo in ordine alla scelta dei mezzi che non consentano la permanenza dei fumo nei locali ove si fuma; che la nocività del fumo, specie quello cd. passivo, è generalmente ammessa anche nella Comunità Europea sia per i fumatori che per i non fumatori in locali frequentati dai primi.
Nelle note presentate successivamente, la stessa difesa ha ulteriormente illustrato le suddette argomentazioni.
La difesa del Candidi, in una successiva memoria, ha insistito sulla inammissibilità della questione.

Considerato in diritto

1.-Il giudice Conciliatore di Roma dubita della legittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a, della legge 11 novembre 1975, n. 584, nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti pur frequentati dagli ammalati, in quanto sussisterebbe una irragionevole discriminazione tra i locali degli ospedali per i quali vi e una identica necessita di tutela e tra soggetti costretti a permanere nei diversi locali per necessita di cure o motivi di lavoro (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a, della stessa legge nella parte in cui prevede il divieto di fumare nei locali destinati alla istruzione e a vari servizi di trasporto e consente, invece, di fumare in quelli in cui si eroga il servizio postale, discriminandosi, cosi, gli utenti di quest'ultimo da quelli degli altri servizi pur essendo pari la loro rilevanza costituzionale (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione);
c) dell'art. 1, lett. b, stessa legge, nella parte in cui non prevede il divieto di fumare nei ristoranti mentre lo prevede nelle sale-corse e nelle sale da ballo, discriminandosi in tal modo, irragionevolmente, gli utenti degli uni e quelli delle altre (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
Inoltre, la stessa norma, interpretata secondo il parere del Consiglio di Stato n. 540 del 1976, nel senso dell'applicabilità solo nei luoghi pubblici in cui vi sia un incontro di più persone, per un tempo definito e per uno scopo consentito, violerebbe anche gli artt. 2 e 3 della Costituzione non risultando garantita la realizzazione degli individui in alcuni aggregati sociali, nonché l'art. 17 della Costituzione, non essendo riconosciuto ad alcuni cittadini il diritto di riunirsi pacificamente in una delle forme in cui il detto diritto si realizza.

2. -La difesa di uno dei convenuti ha eccepito la inammissibilità della questione.
Ha rilevato che:
a) contrariamente a quanto disposto dagli artt. 1 della legge n.689 del 1971 e 12 delle preleggi, la richiesta sentenza renderebbe retroattivamente sanzionabile un comportamento considerato lecito dalla legge del tempo in cui e stato posto in essere;
b) non potrebbe ritenersi la colpa specifica, che e l'elemento costitutivo del dedotto illecito civile, per l'inesistenza, al momento in cui sono stati commessi i fatti, di una disposizione di protezione che sancisse il divieto di fumare in pubblici locali;
c) l'azione di risarcimento del danno alla salute potrebbe fondarsi soltanto sul combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione e 2043 del codice civile.

3. - Le eccezioni meritano accoglimento.
La sentenza che si chiede non può essere utile per la definizione del giudizio a quo, a parte la considerazione che essa postula una scelta, tra le varie possibili, riservata alla discrezionalità del legislatore, alla cui attenzione, pero, deve essere posta la necessita di apprestare una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche cd.passivo, trattandosi di un bene fondamentale e primario costituzionalmente garantito (art. 32 della Costituzione).
3.1 -Nella specie, il fatto dedotto come causa di danni alla salute dei convenuti si fa consistere nella violazione del divieto di fumare in locali pubblici diversi da quelli previsti dalla disposizione censurata (tutti gli ambienti degli ospedali, locali frequentati dal pubblico per ragioni di lavoro o di svago o per fruire dei servizi pubblici apprestativi) e da aggiungasi ad essi per effetto di una disposizione da introdursi nell'ordinamento con la richiesta sentenza, la quale dovrebbe sancire anche per essi il divieto di fumare.
La violazione della stessa disposizione dovrebbe concretare la colpa, cioè il connotato di carattere soggettivo, necessario per porre a carico degli agenti il risarcimento del danno cagionato.
La inosservanza dei doveri imposti dalla suddetta disposizione renderebbe ingiusto il danno da risarcire.

4. -Al contrario, si deve ritenere che la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile per il risarcimento dei danni solo se al momento in cui e stata posta in essere sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile dall'agente. La colpa specifica, consistente nella inosservanza della norma che pone la regola di condotta, può rilevare nel giudizio a quo solo se la disposizione fosse stata vigente e conoscibile al tempo del fatto.
Anche secondo il vigente indirizzo giurisprudenziale e qualora la responsabilità venga reputata fondata su colpa, seppure sia sufficiente per affermare l'esistenza di tale elemento psicologico il richiamo alla inosservanza di una norma giuridica, e necessaria l'indicazione espressa delle disposizioni considerate, le quali devono essere vigenti all'epoca del verificatosi evento.
Inoltre, anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt.5, 6, 7) e interpretata nel senso che, per la rilevanza delle trasgressioni dei doveri generali sanciti da una disposizione di legge, occorre, per il comportamento giuridicamente corretto, la conoscibilità di essa al momento del fatto.
IL cittadino deve conoscere quale sia il comportamento che la norma richiede, specie se si tratta di limitazione ad un diritto di libertà.

5.-D'altra parte, la dedotta lesione del diritto alla salute (art.32 della Costituzione) può fondare da sola il richiesto risarcimento dei danni ex art. 2043 del codice civile. L'art. 32 della Costituzione, in collegamento con l'art. 2043 del codice civile pone il divieto primario e generale di ledere la salute.
IL riconoscimento del diritto alla salute come diritto fondamentale della persona e bene primario, costituzionalmente garantito, e pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato. Dovendosi riconoscere che la lesione del diritto soggettivo garantito dall'art. 32 della Costituzione integra la fattispecie dell'art.2043 del codice civile, non può dubitarsi dell'obbligo del risarcimento per la violazione del diritto stesso. In altri termini, dal detto collegamento dell'art. 32 della Costituzione con l'art. 2043 del codice civile discendono l'ingiustizia del danno e la conseguente sua risarcibilità.
Si nota che il risarcimento riguarda non solo i danni patrimoniali ma tutti i danni che potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana (sentt. Corte cost. nn. 184 del 1986 e 307 del 1990).
La questione sollevata, mancando la rilevanza, deve essere dichiarata inammissibile.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. a e b, della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 17, 32 e 97 della Costituzione, sollevata dal giudice Conciliatore di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/04/91.
Aldo CORASANITI, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 07/05/91.