In
Italia i problemi del comportamento alimentare riguardano il 35%
della popolazione adulta e il 25% dei bambini. Come si può
spiegare questo fenomeno?
Il
cibo non è solo una fonte di calorie e di elementi indispensabili alla
funzionalità dell'organismo. Serve pure a soddisfare le esigenze
più disparate, spesso contraddittorie, come sostitutivo di un
desiderio insaziabile d'amore o espressione di rabbia e di odio,
può sostituire il piacere sessuale o indicarne il diniego, può
rappresentare la fantasia di possedere l'organo maschile o quella
della maternità, può offrire un senso di potere infinito o può
esprimere un rifiuto delle responsabilità adulte.
Può
inoltre servire a riempire un vuoto affettivo, a placare
l'angoscia prima che diventi panico, un voler tapparsi la bocca
per proibirsi di dire cose troppo sconvolgenti, o persino un
rifiuto dell'identità femminile. Se
ne deduce che il cibo ha vari significati: quello regressivo, come
consolazione in personalità infantili, quello aggressivo (sfogo
della rabbia), quello difensivo (come protezione), quello
consolatorio (cibo come riempitivo del vuoto esistenziale) quello
reattivo (in seguito a forti stress), quello psicosomatico
(confusione tra emozioni e sensazioni), quello liberatorio (come
spazio in un mondo pieno di obblighi e conformismo).
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Quali
sono i profili di personalità di soggetti con disturbi del
comportamento alimentare?
Diverse
sono le tipologie di personalità, e molteplici le motivazioni di base.
Sono
talvolta individui molto attivi, impegnati con successo in attività
lavorative che forse cercano nel cibo una compensazione a bisogni
emotivi non soddisfatti; molto più numerose sono le obesità passive:
sono persone amabili, compiacenti, influenzabili che antepongono i
bisogni degli altri ai propri nel costante timore di non essere amati,
accettati. Quando fin da piccoli non si è abituati a riconoscere,
esprimere, difendere il proprio modo di essere ed i propri bisogni, e
anzi si è costretti a reprimerli, non si acquisisce fiducia in se
stessi e nelle proprie possibilità. Di qui la perenne sensazione di
trovarsi di fronte a problemi di gran lunga superiori alle proprie
possibilità di soluzione, il senso di impotenza, la rinuncia
aprioristica. Il confronto con le avversità della vita è cioè per
loro molto duro per cui l'abbuffata ha un potere rassicurante,
regressivo. Talvolta l'obesità insorge dopo la gravidanza e può
denunciare una delusione nella vita di coppia o un rifiuto di crescere.
Si tratta di madri molto ansiose che prodigano al bimbo eccessive cure,
le stesse che avrebbero voluto ricevere. E non può sorprendere se i
loro saranno bambini grassi. Ci sono anche uomini che ingrassano dopo la
nascita del figlio: si tratta di individui estremamente dipendenti con
un bisogno perennemente insoddisfatto di attenzioni, cure,
riconoscimenti. In questi casi la presenza del bambino suscita in loro
rabbia e gelosia per cui ricorrono agli eccessi alimentari per
risarcirsi di ciò che sentono di aver perduto. Le donne comunque ne
soffrono di più.
Quali
sono le cause?
Le
cause vanno ricercate nella difficoltà delle relazioni interpersonali e
nel cattivo sviluppo dell'intimità corporea, affettiva e sessuale per
cui queste persone non riescono a trovare la giusta distanza con i
rapporti con se stessi , con il proprio corpo, con gli altri. Tra le
caratteristiche ricorrenti vi è spesso incapacità a controllare le
proprie pulsioni, rapporti non risolti con i propri genitori, difficoltà
nell'accettazione della propria emotività e dei propri limiti. E come
in tutte le forme di dipendenza, cè pure una buona dose di
autolesionismo.
In ogni caso l'obesità denuncia un copione di "perdente"
"sfortunato", sostenuto da sentimenti di colpa, inferiorità,
autodenigrazione. E si potrebbe ipotizzare che in qualche modo gli obesi
si riconoscano nella loro debordante figura corporea che nella sua
accezione socialmente riprovevole, stigmatizza l'autosvalutazione.
Gli
obesi sono consapevoli di questi significati?
Assolutamente
no. Anzi negano problematiche legate alla propria personalità e
attribuiscono i loro eccessi alimentari ad un'incontrollabile
ingordigia, a mancanza di volontà, a debolezza di carattere.
In realtà le modalità di nutrizione vengono acquisite nella primissima
infanzia, in relazione all'interazione del bimbo con la figura di
riferimento. Può darsi che la madre gli abbia dato cibo anche quando
aveva bisogno di stimoli o di coccole, oppure che gliene abbia dato
troppo per dimostrare di essere una brava madre, per superare sentimenti
di ansia o di colpa, oppure che non gliene abbia dato a sufficienza
innestando il meccanismo dell'abbuffata con un significato di "ora
o mai più". Il pensiero coatto di qualcosa da ingurgitare ha molto
spesso la funzione di un tappo, una barriera difensiva contro la presa
di coscienza di non essere stata amata incondizionatamente. Può
accadere infatti che talvolta il bambino recepisca sin dalla primissima
infanzia che può ricevere amore solo a condizione che soddisfi certe
aspettative del padre e/o della madre. Si tratta in questi casi di
genitori freddi, rigidi, molto esigenti che non assecondano il bambino
nelle sue inclinazioni naturali, bensì cercano in ogni modo di
forgiarlo a somiglianza di un loro modello ideale, a scapito della sua
autenticità, di ciò che di più vero e prezioso c'è in ogni essere
umano. Fin troppo educate e ragionevoli, così queste bambine fanno di
tutto per compiacere i genitori. Dipendono talmente dal loro desiderio
da non permettersi di sperimentare il rifiuto oppositivo, il cosiddetto
NO strutturante. E proprio il loro eccessivo bisogno d'amore e di
consenso rende queste bimbe anche prede facili dei molestatori sessuali.
I traumi che ne derivano innescano sentimenti di vergogna e di colpa che
esse cercano di soffocare sotto montagne di cibo. La coperta avvolgente
di grasso ha in questi casi anche una funzione difensiva, isolante che
può proteggerle dai desideri maschili. La mancanza di autenticità, di
contatto con i propri sentimenti, i propri bisogni, porta non solo a non
riconoscere lo stimolo di fame-sazietà (fattore purtroppo molto comune
tra gli obesi) ma inoltre ad assumere delle decisioni copionali di
compiacimento, rabbia, rivalsa, aggressività, autolesionismo,
sentimenti che molto spesso si ignora o si respinge.
Ma così soffocate queste pulsioni si ripresentano sotto forma di idea
fissa di assunzione di cibo o del suo drastico rifiuto, come avviene nei
casi di anoressia. Da qui l'incapacità di potersi alimentare in modo
razionale.
Vuol
dire che i comportamenti di questi individui non sono razionali?
Per
quanto riguarda il cibo sicuramente la loro razionalità è fortemente
contaminata da spinte emotive. Spiego meglio il concetto con un
linguaggio analitico transazionale.
Ogni persona presenta abitualmente tre diverse modalità di
comportamento: una è appropriata ad una persona che ragiona e agisce
prevedendo e valutando le conseguenze dei suoi atti, e questa viene
definita "Stato dell'Io Adulto; un'altra appare molto simile
all'esprimersi e agire di un bambino (Stato dell'Io Bambino); una terza
modalità rivela aspetti, atteggiamenti e modelli di comportamento
simili a quelli della figura genitoriale (Stato dell'Io Genitore).
Di solito noi ci alimentiamo ascoltando i bisogni, i gusti e i desideri
suggeriti dal nostro Stato dell'Io Bambino libero, ma sempre con la
supervisione vigile dello Stato dell'Io Adulto, facendo ben attenzione
che la quantità e qualità
di cibo ingerito non danneggi il nostro peso e la nostra salute. Per la
persona affetta da patologie nutrizionali invece l'alimentazione
riattiva antichi sentimenti per cui lo Stato dell'Io Bambino, a seconda
dei casi arrabbiato, triste, voglioso, ribelle, o sfidante, contamina
ogni supervisione logica e razionale. E nei periodi di drastiche diete
cui il soggetto si sottopone, osserviamo che agisce pressato dal
"dover dimagrire", spinta proveniente da un esigente Io
Genitore appartenente alla persona stessa o ad altre esterne,
costrizione che immancabilmente attiva un Bambino adattato che sta
ubbidendo. In questi periodi cioè questi soggetti appaiono molto
razionali e li vediamo attenti alle qualità e quantità opportune di
cibo. Ma il loro Stato dell'Io Adulto non è mai avulso dalle pressioni
del loro potentissimo Stato dell'Io Bambino che, fedele alle modalità
infantili, per brevi periodi subisce ma presto si ribellerà per
abbuffarsi di nuovo.
Cosa
si intende per bulimia?
Si
parla di bulimia quando esiste uno smodato bisogno di mangiare
patologico, condizionato psichicamente. A differenza dell'obeso però il
bulimico, subito dopo aver mangiato tanto e di tutto, vomita quanto ha
ingerito ed è spesso in grado di conservare più o meno inalterato il
proprio peso.
Fenomeno molto più diffuso tra la popolazione femminile le bulimiche,
come in genere tutte le persone con problemi alimentari, cercano in modo
esagerato di accreditarsi un'immagine di "brava moglie - madre -
dipendente - figlia", in una costante e ostinata ricerca di
perfezione. Questo in contrasto con i loro sentimenti tendenzialmente
trasgressivi e con il giudizio di sé alquanto negativo. L'incredibile
voracità con la quale vengono portate a termine le solitarie orge
alimentari, la velocità con la quale si rimpinzano, l'incapacità di
smettere, il senso di totale impotenza davanti al proprio comportamento,
la sensazione di essere posseduti da una parte di sé che non sono
capaci di controllare,... e poi il terrore della bilancia, l'uso dei
diuretici, il vomito autoindotto, i sentimenti di vergogna e di colpa,
questo terribile segreto inconfessabile...
La fame e il vomito diventano così le ossessioni segrete intorno a cui
organizzano la propria esistenza con conseguenti cadute di autostima che
rinforzano l'automatismo.
E
lanoressia?
A
differenza delle obese che hanno vergogna di sé, le anoressiche tendono
invece all'esibizionismo della propria intelligenza e determinazione.
Digiunando provano delle sensazioni di onnipotenza, dimostrando a loro
modo l'indipendenza da tutto e da tutti. In comune con gli obesi ed i
bulimici, hanno in realtà un Io molto fragile giacché perennemente
denigrato dal loro Io idealizzato onnipotente e perfetto. Spesso
rifiutano ostinatamente ogni forma di intervento terapeutico anche
purtroppo nei casi estremi in cui la loro vita è in serio pericolo per
l'eccessivo calo di peso.
Perché
alcune persone si abbuffano specialmente di notte?
L'abbuffata
notturna può essere interpretata come un mezzo per colmare "buchi
neri" causati da irrequietezza, rapporti sociali difficili, legami
affettivi conflittuali, frustrazioni professionali, timore
dell'abbandono, di affrontare responsabilità. Accade durante il sonno
notturno, in uno stato di semi-ipnosi, perché dormendo si allentano le
difese psicologiche che di solito essi erigono per sostenere il loro
gravoso ruolo quotidiano ed emergono le paure inconsce. Così i
problemi, le ansie, i dubbi che durante la giornata riescono
faticosamente a controllare, di notte assumono dimensioni insostenibili,
mentre i bisogni di affetto, di vicinanza e di intimità si fanno più
pressanti.
Da qui l'importanza di acquisire consapevolezza del proprio mondo
interno, quindi imparare a contenere le proprie angosce con modalità di
gran lunga più sane delle inutili abbuffate.
Ci
sono intere famiglie di obesi. Che ruolo ha lereditarietà?
Molte
ricerche evidenziano l'elevata incidenza dell'obesità nei figli di
genitori in sovvrappeso ma questo non prova il fattore genetico giacché
giocano come complicanti gli effetti dell'ambiente, le abitudini
alimentari della famiglia, le influenze psichiche.
Anche l'ipotesi di un difetto metabolico o ormonale è in molti casi
poco attendibile giacché si è notato che spesso questo scompare in
proporzione alla riduzione del peso. In ogni caso è incerta la
distinzione tra i fattori che sono causa dell'obesità da quelli che ne
sono la conseguenza.
Perché
i ragazzi "cocco di mamma" sono spesso anche ciccioni?
Alcune
donne, insoddisfatte del loro rapporto di coppia, si aspettano che il
loro figlio maschio colmi magicamente le lacune riscontrate nel partner,
apertamente disprezzato e additato come esempio da non seguire.
In
un clima emotivo del genere, il bambino tende a soffocare i suoi
personali bisogni, le naturali predisposizioni per forgiarsi in modo da
assecondare le aspettative della madre. L'ingestione compulsiva di cibo
può assumere in questi casi diversi significati: "mi tappo la
bocca per evitare di esprimere quello che sento, che voglio, che
desidero...", "mangio tanto così divento presto grande e
posso soddisfare la mia mamma...", "sono molto arrabbiato con
tutti...", "ho sensi di colpa perché voglio prendere il posto
di papà"... e via dicendo. In questi ragazzi cioè è fortemente
dominante lo Stato dell'Io Bambino che influenza ogni loro agire. E il
sovrappeso è solo la punta di un iceberg che nasconde nel suo interno
incolmabili conflitti.
Comè
possibile risolvere questi problemi in modo definitivo?
E'
consigliabile un approccio multifattoriale con psicoterapia personale o
di gruppo e approccio corporeo. E' denominatore comune di queste persone
una carenza di autostima dovuta ad una struttura di personalità
eternamente in conflitto tra quello che desiderano e quello che fanno.
Molto legate al "dover essere" "dover fare", si sono
forgiate per soddisfare le aspettative di un genitore incontentabile e
con il tempo il soggetto stesso è diventato l'esigentissima persona mai
appagata, scontenta di sé, impotente...che si concede parentesi di
rivalsa danneggiandosi. La soluzione quindi non sta nell'ossessivo
conteggio delle calorie, nella continua ricerca della dieta più
efficace...Anche se indubbiamente indispensabile questa modalità
purtroppo rinforza l'idea dominante del cibo, necessariamente scelto,
dosato, distribuito secondo rigide prescrizioni. Sarebbe molto utile
contemporaneamente intraprendere un lavoro di decontaminazione dello
Stato dell'Io Adulto che può essere considerato come un muscolo che si
insedia e cresce nella misura in cui è sollecitato; ed è proprio
quello che accade nell'ambito del setting terapeutico. Bisogna
apprendere il come proteggersi, accettarsi, approvarsi, sostenersi,
amarsi; ed inoltre imparare ad ascoltare i propri sentimenti, i propri
bisogni, acquisire contatto, intimità con il proprio Sé.
E' anche essenziale decidere di ridurre le proprie aspettative nei
riguardi di se stessi e degli altri; considerare gli errori commessi
come esperienze necessarie per crescere, evitando in ogni modo i
compiacimenti, i compatimenti, le autodenigrazioni. Potrebbe essere più
facile conseguire questi obiettivi imparando a guardare il nostro Io
idealizzato, le nostre pretese di perfezione, ogni avvenimento, il mondo
che ci circonda... da un'ottica umoristica in modo da eliminare
attraverso questa lente le nostre paure, le affettazioni, i ruoli, le
identità di facciata, le maschere che indossiamo. Potremmo così
osservare noi, gli altri, la realtà con maggiore magnanimità,
tolleranza, con un senso di calore e simpatia per tutti gli aspetti
della vita, staccandoci dalle antiche illusioni, dalle attese magiche.
Solo quando si è acquisita la percezione di Sé e del proprio corpo,
solo dopo aver appreso un colloquio interno costruttivo, si potrà
passare ad affrontare il problema alimentare. Quindi imparare a
"pensare magro" non solo nella scelta quotidiana del cibo in
relazione al proprio schema corporeo, ad una più corretta educazione
alimentare, ma innanzitutto a qualcosa di più profondo legato ad un
rinnovato stile di vita, ad un nuovo copione "vincente" alla
capacità di amministrare al meglio i propri comportamenti.
(Dott.ssa
Margherita Iavarone
- via degli Avignonesi 16, Roma. Tel. 06-4870093)
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